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Giugno 2010

Mentre monta una “questione morale” dagli esiti imprevedibili
Il “caso Brancher” tra politica e diritto
di Senator

     La nomina di Aldo Brancher a Ministro per l’attuazione del federalismo se non altro farà discutere negli anni a venire gli studiosi di politica e di diritto costituzionale. I primi si chiederanno che senso abbia istituire un posto di governo che deve monitorare l’attività di un altro ministro, quello per il federalismo. Per cui si potrebbe pensare a plurimi ministri senza portafoglio per verificare l’attuazione del programma dei ministri con portafoglio. Il ministro per l’attuazione delle politiche comunitarie, che è già senza portafoglio, o delle politiche agricole, che, invece, il portafogli lo ha. O il ministro per l’attuazione del programma del beni culturali o della sanità o del lavoro.
     Contemporaneamente i giuristi si porranno il problema se sia legittimo moltiplicare i posti di governo, sfruttando lo strumento dei ministro “senza portafoglio”, cioè senza bilancio autonomo che, però, pesa sul bilancio dello Stato perché si avvale di uno staff che mai va sotto le venti unità, un capo di gabinetto, un capo del settore legislativo, come si esprime il decreto organizzativo della Presidenza del Consiglio (solo Gianfranco Fini, Vicepresidente del Consiglio, lo ha chiamato  “Ufficio legislativo” per mettere in pista il fedelissimo Paolo Maria Napolitano, un funzionario del Senato poi nominato Consigliere di Stato e quindi spedito alla Consulta), Tutti e tre con auto blu e autisti, ovviamente, dei quali inevitabilmente saranno dotati anche il segretario particolare. Spese che, in tempi di crisi economica, sarebbe stato meglio evitare.
     La nomina di Brancher, a velocità supersonica, ha stupito tutti, o quasi. Apertamente sorpresi  La Russa e Gasparri, Bossi “il federalista” per antonomasia, che in materia ha una esplicita competenza ministeriale, ha accolto la notizia con evidente contrarietà tanto da sconfessare pubblicamente, in quel di Pontida, la scelta di Berlusconi.
     “Perché tutta questa fretta?” si è chiesto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Un ennesimo mistero politico, considerato che da oltre un mese e mezzo è vacante un posto di governo di particolare rilievo, quello dello Sviluppo economico, al quale sono affidate molte delle speranze della ripresa della produzione e dei consumi, dopo le dimissioni di Claudio Scajola non viene ancora assegnato.
     “Anche i meno sospettosi, anche chi è più disponibile a rilasciare un credito all’attuale governo e chi ha appena ritenuto positive le ultime scelte, specialmente in economia – ha scritto Battista -, è costretto a immaginare che in tanta segretezza frettolosa molto abbia pesato il nome del nuovo ministro, Aldo Brancher, che potrebbe avvalersi, come tutti i ministri, delle nuove norme sul “legittimo impedimento” per procrastinare le vicende giudiziarie che lo riguardano. È un sospetto ingiusto, ma la singolarità della nomina di Brancher autorizza qualsiasi malevolenza”.
     Una vicenda comunque imbarazzante se dal Quirinale, nella sua funzione di supremo garante della legalità, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,  è dovuto intervenire per dire che un ministro senza portafoglio non può essere legittimamente “impedito” dinanzi al suo giudice. Tanto che Brancher avrebbe l’intenzione di chiedere che l’interrogatorio sia anticipato.
     E’ comunque una situazione imbarazzante che favorisce quel clima di profondo malessere che attraversa tutto il mondo politico e che sta montando anche nel Popolo della Libertà, tanto da costringere Berlusconi a reiterate condanne di ogni ipotesi che veda il formarsi di correnti o di altro analogo raggruppamento.
     Sullo sfondo una “questione morale” che non può essere a lungo occultata, se ministri ed altri uomini di governo o dirigenti dell’Amministrazione sono inquisiti o sospettati di illeciti o di compiacenti omissioni di controlli.
26 giugno 2010 

E due! Dopo Sergio Santoro, se ne va anche Sergio Gallo,
Capo di gabinetto del Sindaco Alemanno
di Marco Aurelio

     “Improvvise e impreviste situazioni familiari” sono la giustificazione dell’abbandono di Sergio Gallo, magistrato ordinario, Capo di gabinetto del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Il quale prende atto “con dispiacere della sopravvenuta situazione” e ringrazia il suo ex collaboratore “in modo non formale”.
     Gallo rientra in  magistratura, come Sergio Santoro, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, che lo aveva preceduto nel delicato incarico, tra l’altro con una remunerazione assai buona. Che il Corriere della Sera ha indicato in 298 mila euro.
    Che due magistrati lascino il prestigioso incarico fa riflettere. Il primo, Santoro, ha una vasta esperienza di magistrato amministrativo, ottimo conoscitore degli apparati dello Stato e degli enti locali, una vasta esperienza di collaborazione ministeriale in vari settori. Gallo non ha la stessa esperienza. Era giudice civile. Entrambi   sono uomini di legge, abituati ad applicarla ed a pretendere che sia seguita.
     Cosa li ha indotti a mollare un incarico di grande prestigio e ben retribuito? Un’esigenza personale è la versione ufficiale e non vi sono motivi per dubitare che sia così. Tuttavia la coincidenza  è certamente singolare per cui il Corriere della Sera di oggi (a pagina 2 della Cronaca di Roma), a proposito delle dimissioni di Gallo, azzarda: “sembra che all’origine della decisione ci sia stata qualche incomprensione col sindaco sui tempi delle decisioni, a cominciare dalla sanatoria sulle piscine”.
     Che la stessa cosa sia accaduta con Sergio Santoro?
     Certo che non è da tutti abbandonare una poltrona prestigiosa, accanto ad un politico giovane e rampante, che aspira ad un ruolo di primo piano nel dopo Berlusconi, se non c’è un motivo serio, un’incomprensione non superabile.
     Resta, dunque, il dubbio che l’azzardo del Corriere possa essere verosimile, che effettivamente tra il politico e il tecnico ci sia stata qualche contrasto, che a questo punto deve ritenersi grave, su alcune decisioni da assumere.
     Certamente delle dimissioni di Gallo si tornerà a parlare ed è probabile che si ricerchino i motivi per i quali, a breve distanza dell’insediamento del Sindaco che ha prevalso su Rutelli, anche Sergio Santoro preferì lasciare il Palazzo del Campidoglio e tornare al Consiglio di Stato.
23 giugno 2010

L’iniziativa del Sindaco di Roma
La Guardia di Finanza negli asili,
per far pagare di più a chi più può
di Senator

     L’idea sembra appropriata. Il Sindaco Alemanno alla disperata ricerca di mezzi per far cassa dopo la disastrosa esperienza delle giunte di Centrosinistra e dopo gli errori iniziali dello stesso Sindaco (strisce blu a pagamento e bianche senza controlli), che tra l’altro hanno privato la comunità romana di somme legislativamente destinate ai parcheggi ed alla segnaletica, pensa, così dicono i giornali di oggi (E-Polis, a pagina 15) di fare un accordo con la Guardia di Finanza “per setacciare i i redditi delle famiglie che iscrivono i bambini al nido per accelerare la lotta all’abusivismo”. “Darà di più chi ha più possibilità, dice il Sindaco.
     La questione non è chiara per cui tento alcune ipotesi e considerazioni.
     Sembrerebbe diretta a coloro i quali iscrivono i figli negli asili comunali. In questo caso il reddito effettivo della famiglia dovrebbe servire a permettere di formare la graduatoria nel senso di dare la precedenza a chi ha redditi inferiori. Per cui se è evidente e giusta l’idea di adottare misure che accertino i redditi effettivi, in modo da evitare l’ingiustizia di chi dolosamente esponga un reddito inferiore, non si comprende che senso abbia dire pagherà di più chi più ha perché chi è in questa condizione non dovrebbe entrare in graduatoria.
     L’idea del Sindaco va, dunque, meglio spiegata. E certamente lo farà, anche perché l’opposizione ha subito parlato di una “vera e propria stangata per i romani”.
     L’occasione induce, invece, a considerare la necessità di valutare – ma questo è compito del Ministro Tremonti – la possibilità di attuare una deduzione dei costi che le famiglie sostengono per i figli. In parte, ovviamente, considerate le condizioni della finanza pubblica. Ma è evidente che se la retta di un asilo privato è, ad esempio, di 700 euro mensile il fisco che consentisse di dedurre anche solo il 10 per cento (70 euro) sarebbe in condizione di individuare la somma che l’asilo percepisce e non potrebbe non esporre nel bilancio e nella dichiarazione dei redditi. Infatti il 10 per cento, come qualunque altra percentuale, individua il totale, l’effettiva somma incassata dal percettore.
     E’ questo il segreto del fisco moderno e civile. Far emergere, attraverso la generalizzata deduzione di tutto o di parte dei redditi trasferiti le somme da tassare. Ma da questo orecchio il Ministro Tremonti non ci sente. Si sente dire che si perderebbe gettito. E’ una solenne sciocchezza, considerata la flessibilità del sistema tributario e la possibilità di determinare anno dopo anno la misura delle deduzioni come delle detrazioni.
    Quando diventeremo un paese civile?
21 giugno 2010

Dopo la partita Italia-Nuova Zelanda giudicata “sulla carta” facile
E’ sempre sbagliato sottovalutare gli avversari
di Salvatore Sfrecola

     Abbiamo sofferto, tutti, ieri pomeriggio durante la partita Italia – Nuova Zelanda, che tutti i giornali avevano ritenuto “sulla carta” facile.
     Invece abbiamo sofferto e molto, anche per aver sottovalutato l’avversario e per aver messo in campo una squadra inadeguata. Lippi ha ripetuto più volte nell’intervista televisiva del dopo partita che i  neozelandesi erano alti due metri. Che fossero cresciuti nella notte? Suvvia è la solita spocchia nostra e del CT, in particolare, che dopo l’incontro con il Paraguay ebbe a dire, parola più o parola meno, che la squadra sudamericana si era impegnata molto a contenere i nostri!
     Ma dov’era Lippi?
     E poi che senso ha minimizzare il valore dei nostri avversari? Svilisce anche il senso di una nostra eventuale vittoria. Se gli avversari valgono poco lo stesso successo vale poco.
     Mi ricorda la stupida denigrazione che al tempo del Fascismo si faceva dell’esercito inglese. Mussolini disse che era l’ultimo del mondo. Affermazione quanto mai azzardata considerato che per secoli i soldati con la bandiera dell’Union Jack  hanno combattuto in tutti i continenti.
     Affermazione azzardata, quella del Duce, che però consentì a Churchill, a guerra finita, di annunciare alla Camera dei comuni che l’ultimo esercito del mondo aveva battuto il penultimo.
     Sciocchezze italiche!
21 giugno 2010

In margine all’editoriale di Gian Antonio Stella
Autocertificazione sì, ma con controlli adeguati
di Senator

     Quando ho scritto il mio pezzo sulle preannunciate semplificazioni cin materia di apertura di un’impresa, all’alba di questa mattina, non avevo ancora letto il Corriere della Sera che si apre con un bell’editoriale di Gian Antonio Stella dal titolo emblematico “Autocertificati (e responsabili)”.
     Fustigatore dei costumi della “casta” e della “cricca”, severo censore delle malefatte della burocrazia Stella esordisce con un “Dio benedica l’autocertificazione”. Convinto che Dio non debba essere nominato “invano” , tuttavia condivido il peana alla semplificazione, come l’ho condiviso quando l’Amministrazione pubblica ha cominciato ad accettare dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà per abbattere la carta dei certificati ed i tempi lunghi delle pratiche che ne prendevano atto. Poi, però, è emerso che molti profittavano della diffusa convinzione, sperimentalmente verificata, che i controlli non arrivano sempre, Conosco il caso di un falso medico, condannato dalla Corte dei conti, il quale prestava servizio presso un ospedale napoletano avendo attestato di essere laureato in medicina e chirurgia. Periodicamente la direzione amministrativa gli chiedeva il certificato la laurea e l’iscrizione all’ordine. Lui faceva finta di niente e così per molto tempo l’ha fatta franca. Poi è cambiato il direttore sanitario. Il nuovo ha reiterato la richiesta ma stavolta, non ricevendo risposta, si è rivolto all’università ed all’Ordine dei medici. L’una non aveva mai laureato quel signore che, ovviamente, l’Ordine dei medici non aveva mai iscritto.
     Accadeva a Napoli qualche anno fa. Ed oggi Stella racconta episodi che dimostrano che in fatto di truffe da autocertificazione, ove più ove meno, l’Italia è una, in barba al federalismo della Lega. Cronache, come scrive, che “fanno rizzare i capelli”.  Seicentosei studenti della Sapienza smascherati (su un campione di soli 4000) perché si dichiaravano poveri rubando le borse di studio ai poveri veri. Settantatré palazzine abusive a Casalnuovo vendute dal notaio in base a un’autocertificazione falsa secondo cui tutto era a posto per il condono. Cento per cento dei posti in graduatoria nelle «materne» dell’Agrigentino assegnati grazie alla legge 104 e ai documenti di maestre che giuravano di assistere parenti invalidi”.
     E, ancora, migliaia di “buoni-bebè” (solo a Voghera erano truffaldine 354 pratiche su 430) distribuiti a immigrati “finti italiani”. Poi decine di migliaia di finti nullatenenti dalla Val d’Aosta alla Calabria esenti dal ticket sanitario e viua dicendo, dall’Alpi al Lilibeo, l’Italia dell’autocertificazione è a rischio.
     Occorre procedere comunque sulla strada della semplificazione. Ma occorrono pene severe per chi imbroglia, senza che abbia la sensazione di condoni all’orizzonte.
     Infine, massima severità anche all’interno, per evitare che in sede di controlli i soliti impiegati disonesti, che non mancano mai anche nelle migliori amministrazioni, taglieggino coloro che, magari in buona fede, qualche imprecisione l’hanno denunciata nell’autocertificazione,
     Vediamo se questo riesce a diventare un Paese normale e civile.
20 giugno 2010

Un antico problema “scoperto” soltanto adesso
Meno burocrazia per aprire un’impresa,
evitando il far west selvaggio
di Senator

     Necessarie da anni, certamente da quando il Presidente imprenditore è entrato in politica, nel 1994, delle esigenze di semplificazione degli adempimenti per avviare un’impresa non se ne era parlato mai a livello di governo. Viene adesso prepotentemente alla ribalta mentre le imprese chiudono un po’ dappertutto in Italia sotto i colpi della crisi economica. Ottima iniziativa certamente, come sottolineato anche dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che ha denunciato “troppi ostacoli”. “Una regolamentazione eccessiva o di cattiva qualità costituisce per le imprese un fattore di ostacolo alla concorrenza”, Più esattamente una regolamentazione “inefficiente e costosa”, sicché, riprendendo una valutazione della Banca Mondiale osserva come “non sia facile fare impresa in Italia”.
     Bene, anzi benissimo. Si doveva fare prima ma il Presidente imprenditore, che questi problemi dovrebbe conoscere in ragione della sue esperienza professionale, non se ne era dato carico fino ad oggi.
     Che sia un ennesimo annuncio? Considerato il gran polverone che si va facendo, innanzitutto coinvolgendo nell’iniziativa la riforma degli articoli 41 e 118 della Costituzione in termini non ben definiti e della quale comunque non si comprende bene la motivazione. Soprattutto non si comprende perché si voglia modificare l’articolo 41 che si apre con una affermazione solenne: “L’iniziativa economica privata è libera”, come pretesa alla non ingerenza del potere politico nei rapporti di produzione e di scambio. Una formula che addirittura richiama l’inglese Magna Charta libertatum del 1215, che garantisce a tutti i mercanti la possibilità  di circolare liberamente “sia per terra che per acqua, per comprare e per vendere, secondo le antiche e buone consuetudini”.
     L’articolo 41 prosegue (comma 2) affermando che (l’iniziativa economica privata) “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.. Fin qui credo che né Berlusconi né Tremonti abbiano nulla da dire.
     Al terzo comma sta scritto che “la legge determina  i programmi e i controlli opportuni perché* l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. E qui, probabilmente, sta la scusa della preannunciata proposta di revisione costituzionale perché questa norma “programmatica” che prevede l’eventuale attribuzione dal legislatore alla pubblica amministrazione di una verifica della regolamentazione del numero e della localizzazione degli esercizi commerciali (ad esempio, le farmacie, i supermercati) o delle caratteristiche dei locali allo scopo adibiti sotto il profilo della sicurezza e dell’igiene è evidentemente una scusa per mascherare le difficoltà non valutate e giustificare l’eventuale fallimento dell’iniziativa. Perché è facilmente immaginabile cosa accadrebbe se, in sede di verifica successiva, l’autorità pubblica accertasse che l’autocertificazione, ad esempio sulla sicurezza dei locali e dell’igiene, non fosse rispondete alla realtà, Si applicherebbe rigidamente la legge o farebbe capolino l’ennesimo condono?
     Che non sia questione semplice lo dimostra la difficoltà che lo schema normativo ha incontrato in Consiglio dei Ministri, con le riserve di Brunetta, Calderoli, Ronchi, Bossi e Frattini. Di quest’ultimo, soprattutto, che pur essendo Ministro degli affari esteri, lontano, quindi, dalla materia ratione officii, è un giurista di  valore al quale non possono sfuggire che non esistono reali ostacoli da parte dell’articolo 41 alla semplificazione della disciplina normativa per l’avvio di un’impresa.
     Si parla meno della riforma dell’articolo 118 della Costituzione e non se ne comprendono ancora oggi le ragioni, atteso che la riforma del 2001 ha delineato l’esercizio delle funzioni amministrative tra i vari enti che compongono la Repubblica, comuni, città metropolitane, province, regioni e Stato, con l’affermazione del principio della sussidiarietà, verticale (da un ente all’altro, partendo da quello più vicino al cittadino) e orizzontale (con attribuzione al cittadino ed alle associazioni nelle quali opera a fini sociali di svolgere funzioni proprie dei comuni).
     Forse verranno chiarimenti più avanti. O forse si voleva pensare all’articolo 117 che ripartisce le competenze legislative tra Stato e Regioni, sia per i casi di legislazione esclusiva che di quella  “concorrente”. Nel  117, infatti, stanno le attribuzioni regionali in materia di commercio.
     Ci auguriamo veramente che lacci e lacciuoli siano eliminati per le imprese. Evitando tuttavia il far west selvaggio che sta dietro l’angolo di ogni liberalizzazione, in assenza di una burocrazia efficiente ed autorevole che faccia rispettare le regole, sia pure ex posto.
20 giugno 2010

Un forte richiamo alla responsabilità delle istituzioni
Cambiano i vertici di Corte dei conti e Consiglio di Stato

di Salvatore Sfrecola

     Momento delicato per le istituzioni della Repubblica troppo spesso coinvolte in polemiche politiche che, in realtà, non le riguardano e oggetto di aggressioni scomposte di chi non ne riconosce il ruolo per essere fuori della logica istituzionale e democratica sulla quale si fonda la nostra Costituzione.
     Da un lato i magistrati costretti a scioperare contro voglia, nella consapevolezza che gli uomini e le donne che incarnano un potere dello Stato, il potere giurisdizionale, l’espressione più alta del vivere civile, entrano in rotta di collisione con un altro potere dello Stato, il Governo, ripetutamente impegnato non a facilitarne il delicatissimo lavoro ma ad ostacolarlo, come nel caso della guerra alle intercettazioni telefoniche e ambientali in una corsa contro il tempo perché non emergano le malefatte della “Cricca”. Da ultimo con una sforbiciata alle retribuzioni che ad una categoria la quale non contratta gli stipendi, perché stabiliti per legge, vede nella diminuzione di un trattamento economico di gran lunga inferiore a quello dei dirigenti statali e regionali una lesione grave della propria indipendenza.
    Lo scontro è duro perché la maggioranza ha messo in campo i mezzi di comunicazione di cui ampiamente, quasi monopolisticamente, dispone, a cominciare dai giornali amici o “di famiglia”, dove scrivono giornalisti e pennivendoli che in fatto di retribuzioni e benefici vari stanno molte spanne avanti al titolare del maggior stipendio della magistratura.
     Intanto continua l’attacco alla Consulta di chi è intollerante dei controlli di costituzionalità sulle leggi.
     Altre situazioni maturano nel mondo della Giustizia. Tra il primo e il cinque di luglio lasciano la toga i Presidenti della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, due Istituzioni essenziali nel buon funzionamento dello Stato, la prima per la funzione di controllo “sugli atti del governo”, con compito di riferire al Parlamento “sul risultato del riscontro eseguito” (art. 100, comma 2, Cost.), la seconda “organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione” (art. 100, comma 1, Cost.). Cose non di poco conto!
     Entrambe le Istituzioni sono anche titolari di funzioni giurisdizionali, la Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, per cui giudica sui conti di chi gestisce denaro pubblico e sulle responsabilità per danno all’Erario, il Consiglio di Stato giudice d’appello nella materia della Giustizia Amministrativa, laddove si verifica la legittimità dell’operato delle pubbliche amministrazioni, ad esempio in sede di aggiudicazione degli appalti. E Dio sa se non è un ruolo importante, come attestano le indiscrezioni giornalistiche, anche di fonte giudiziaria, sulle avventure della “Casta” e sugli imbrogli della “Cricca”.
     Ebbene, alla vigilia della nomina del successore di Tullio Lazzaro, il Presidente della Corte dei conti, e di Paolo Salvatore, il Presidente del Consiglio di Stato, non vi è certezza sulla procedura che il Governo intenderebbe seguire, considerato che entrambi i Presidenti saranno nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, “sentito il Consiglio di Presidenza”, cioè l’organo di autogoverno delle due magistrature.
     La formula della legge, impostata nel senso che il Governo acquisirebbe il parere su una sua proposta è stata sempre interpretata come una designazione dei Consigli di Presidenza, per evidente rispetto dell’autonomia delle due magistrature e perché non sembri che l’esecutivo si nomina il suo controllore e il suo consulente che sono anche giudici della responsabilità degli amministratori pubblici e della legittimità dei loro atti.
     Così è stato da tempo per il Consiglio di Stato, più di recente per la Corte dei conti. La Presidenza del Consiglio scrive una letterina di due righe nella quale chiede un nome, ai fini della successiva deliberazione del Consiglio dei Ministri.
     Così sembra sia stato fatto nei giorni scorsi per il Consiglio di Stato, anche se nessuna deliberazione è stata assunta dal Consiglio di Presidenza in vista della scadenza del 5 luglio (collocamento a riposo del Presidente Paolo Salvatore).
     Non è accaduto per la Corte dei conti, nonostante il Presidente Tullio Lazzaro sia collocato a riposo dal 1° luglio.
     Il ritardo ha messo in stato di allerta l’Associazione Magistrati della Corte dei conti, anche perché sembra aver ripreso corpo la voce che il Governo chiederebbe non già una designazione secca ma una “terna” di nomi tra i quali scegliere.
     La diversità di trattamento, ove fosse confermata, non farebbe onore al Governo che potrebbe essere accusato di minare l’indipendenza della Corte dei conti, il suo controllore, e del Consiglio di Presidenza. Per cui la Giunta dell’Associazione dei Magistrati contabili è stata convocata “d’urgenza” per oggi “per esaminare le iniziative di contrasto da adottare nel caso siano confermate le voci nuovamente ricorrenti di richiesta da parte del Governo al Consiglio di Presidenza della Corte di una rosa di candidati entro la quale il Governo medesimo dovrebbe poi effettuare la scelta del Presidente della Corte”.
     La Giunta ricorda di aver già “preso atto che il procedimento per la nomina del nuovo Presidente del Consiglio di Stato è prossimo alla conclusione pur mancando quasi un mese dalla scadenza dell’attuale vertice. Al contrario, malgrado l’assoluta identità del quadro normativo che disciplina le procedure in questione e ad appena dieci giorni dalla vacanza dell’analoga posizione per la Corte dei conti, la relativa procedura non è neppure iniziata”. E sottolinea come “già l’anomalo differimento” evidenzi “una ben diversa attenzione del Governo nei confronti dell’organo di consulenza (oltre che di giustizia amministrativa) rispetto a quella manifestata all’organo di controllo, oltre che di giurisdizione di responsabilità”. Segnalando come “le rinnovate voci di richiesta da parte del Governo di un’indicazione di più nomi, che non consentirebbe un’effettiva tutela dell’autonomia dell’Istituto, destano vivissimo allarme nei magistrati contabili”.
     Al riguardo in un comunicato la Giunta ricorda come “il Consiglio direttivo unanime aveva a suo tempo rilevato (seduta del 4 maggio) che tale procedura “contrasterebbe con il ricordato quadro normativo di riferimento, costituirebbe un anomalo precedente e lascerebbe al Governo la sostanziale scelta della nomina del Presidente della Corte, così vanificando l’effettivo apporto decisionale da parte del Consiglio di presidenza della Corte stessa”.
     La Giunta preannuncia un appello al Presidente della Repubblica “perché voglia esercitare il suo ruolo di garante dell’indipendenza e dell’autonomia di tutte e di ciascuna Magistratura”. Ugualmente saranno sensibilizzati anche i Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Fin qui la notizia. Mi auguro che il Governo, che ha già altre gatte da pelare, con molti dei suoi componenti coinvolti, i giudici diranno poi come e in quale misura, nella cronaca di affarucci che se accertati dimostrerebbero che non si è servito lo Stato ma ci si è serviti dello Stato, non voglia usare la prepotenza nei confronti dell’organo di controllo, al quale in altri tempi, nell’Italia liberale, nel 1862, un Ministro del Re, Quintino Sella, nell’inaugurare a Torino il 1° di ottobre la Corte dei conti “il primo Magistrato civile che estende la sua giurisdizione in tutto il Regno”, manifestava altissimo senso dello Stato e rispetto dell’Istituzione. “Altissime sono le attribuzioni che la legge a voi confida. La fortuna pubblica è commessa alle vostre cure. Della ricchezza dello Stato, di questo nerbo capitale della forza e della potenza di un paese voi siete creati tutori”.
     “A vostro compito il vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge; ed ove un fatto avvenga il quale al vostro alto discernimento paia ad essa contrario, è vostro debito il darne contezza al Parlamento. Delicatissimo ed arduo incarico, tanto che a taluno pareva pericolo l’affidarlo a Magistrati cui la legge accorda la massima guarentigia d’indipendenza, cioè la inamovibilità. Questo timore non ebbi, no, o Signori, e non esitai a propugnare per voi così delicate attribuzionì, ed il feci perché ho fede illimitata nel senno civile degli Italiani, come sopratutto in un regime di piena libertà e di completa pubblicità; regime che agli Italiani, certo quanto ad ogni altro popolo civilissimo meravigliosamente conviensi. Il feci per la fiducia che avevo negli illustri personaggi che il Governo intendeva chiamare dalle varie Provincie del Regno a questa Corte, sotto la guida di un venerando uomo di Stato che da ormai undici lustri rende servigi eminenti alla patria, ben degno che l’ufficio nobilmente tenuto nel Regno di Sardegna, il conducesse a quello di presiedere la Corte dei conti del Regno d’Italia. Così composta la Corte, io ero certo che sarebbesi mirabilmente conciliata l’osservanza della legge con la prudenza che in momenti difficili potrebbe tarpare indispensabile. Né dubitai che i miei successori avrebbero sempre chiamati tra voi uomini tali che non verrebbero meno alle virtù ed al patriottismo che v’illustra. A voi spetta quindi il tutelare la pubblica fortuna, il curare la osservanza della legge per parte di chi le debbe maggior riverenza, cioè del Potere esecutivo, senza che abbia a menomare quella energia e prontezza di esecuzione che in alcuni momenti decide dell’avvenire di un paese. Voi adempirete il vostro mandato in guisa che dalla istituzione di questa Corte l’Italia tragga i più lieti auspici per la sua unità amministrativa e legislativa”.
     Un po’ di enfasi, un po’ di retorica, ma di un uomo che ha dimostrato con i fatti di credere nello Stato e nelle sue leggi, che rivolgendosi ai magistrati della Corte dei conti ne sottolinea l’indipendenza e li invita a controllare il governo e riferire al Parlamento “in un regime di piena libertà e di completa pubblicità”. Né dubitava che i suoi successori avrebbero nominato magistrati della Corte tra gente capace di rendere “servigi eminenti alla patria”.
     Che differenza tra l’Italia liberale di Quintino Sella, colui che, divenuto Ministro delle finanze, fece uscire dagli appalti pubblici le imprese “di famiglia”, e quanti, tra un affaruccio e l’altro, oggi evocano ad ogni occasione lo “spirito liberale”. Senza pudore.
18 giugno 2010

Benedetto XVI: l’economia rispetti la dignità dell’uomo

     ”La liberazione dalle ideologie totalitarie non è stata utilizzata unilateralmente per il solo progresso economico a detrimento di uno sviluppo più umano che rispetti la dignità e la nobiltà dell’uomo?”. E’ quanto si è chiesto il papa incontrando ieri i partecipanti alla 45.ma riunione comune della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, ricevuti stamani in Vaticano.
     Di fronte alla crisi economica, ha poi esortato Benedetto XVI, bisogna ripartire dai valori cristiani, vero motore per un autentico sviluppo anche del Vecchio Continente. Attualmente, ha proseguito il Pontefice – riferisce l’Agenzia ASCA – l’Europa e il mondo attraversano un momento di grave crisi economica. Ma, ha avvertito, non bisogna valutare questa situazione solo attraverso un’analisi strettamente finanziaria. Citando l’enciclica ‘Caritas in Veritate’, il Pontefice ha messo in evidenza che la relazione tra carità e verità e’ ”una forza dinamica che rigenera l’insieme dei legami interpersonali” per orientare la vita economica e finanziaria ”al servizio dell’uomo e della sua dignità”’.
     ”Marginalizzare il Cristianesimo, anche attraverso l’esclusione dei simboli che lo manifestano – è stato il suo richiamo – contribuirebbe ad amputare il nostro continente della sua origine fondamentale che lo nutre instancabilmente e che contribuisce alla sua vera identità”’.
     ”Effettivamente – ha detto il Papa – il Cristianesimo è la fonte dei valori spirituali e morali che sono patrimonio comune dei popoli europei”.
13 giugno 2010

La denuncia della Federazione Nazionale della Stampa
Con il ddl sulle intercettazioni
limitate la libertà di stampa e il diritto di cronaca

     (ASCA) -”La rigorosa analisi sui contenuti e gli effetti del disegno di legge sulle intercettazioni, che è apparsa ieri ed oggi su tutti i giornali dopo l’approvazione in seconda lettura nell’aula del Senato, ha mostrato a tutti i cittadini con lampante evidenza quali disastrose conseguenze si avrebbero, se quel testo fosse approvato definitivamente, sulla libertà di stampa e sul diritto di cronaca”.
     E’ quanto sottolinea il sindacato dei giornalisti indicando che ”la rivolta morale che in queste ore ha coinvolto tutta la categoria, senza distinzione di ruoli e di appartenenze politiche, è la visibile dimostrazione che occorre impedire che queste funeste previsioni diventino leggi dello Stato e che possano intaccare le basi fondamentali della convivenza democratica”.
     Anche per questo è necessario ”mantenere vivo il dibattito e alta la tensione e per questo invitiamo tutti i giornali e i direttori a garantire con costanza nei prossimi giorni l’informazione sull’iter parlamentare, sui contenuti del provvedimento e le conseguenze che si potrebbero riverberare sui diritti di tutta la collettività. In queste ore i giornali devono costruire un collegamento profondo con i cittadini ed evidenziare che i diritti, che questo disegno di legge tende a cancellare, non sono diritti corporativi di una categoria ma diritti dei cittadini”.
13 giugno 2010

Il disegno di legge sulle intercettazioni
Una pagina buia “per la nostra politica legislativa
in materia di giustizia”

di Iudex

     E’ la frase con la quale Vittorio Grevi, noto processualista e firma tra le più prestigiose del Corriere della Sera, avvia nel fondo di oggi una riflessione a tutto campo in tema di intercettazioni, dopo l’approvazione del disegno di legge in Senato. “Scelte preoccupanti”, è il titolo del fondo,  che non critica solo il “metodo”, ossia l’abusato ricorso al voto di fiducia per stroncare il dibattito parlamentare ed indirizzare la scelta secondo le indicazioni del Cavaliere, ma soprattutto il “merito” della nuova normativa che passa all’esame della Camera dei deputati.
     Le preoccupazioni sono per la libertà di informazione, fortemente compressa con riguardo ai risultati delle intercettazioni, anche se non più coperti da segreto, quindi, osserva Grevi, “anche se concernenti fatti o circostanze direttamente rilevanti per le indagini”. Un divieto “eccessivo ed ingiustificato”, come eccessive ed ingiustificate sono le sanzioni penali previste a carico dei giornalisti nel caso di violazione del divieto, nonché quelle a carico degli editori.
     Ciò che preoccupa è la scarsa considerazione per l’interesse pubblico alla repressione dei reati, che è interesse primario della comunità nazionale. I presupposti per il ricorso alle intercettazioni, infatti, si rinvengono nelle modifiche all’articolo 267 del codice di procedura penale laddove si richiede la sussistenza di “gravi indizi di reato”, cioè di una consapevolezza rispetto alla quale l’intercettazione appare un accessorio non determinante.
     Inoltre “nei casi di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, le utenze sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti indagati ovvero sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti diversi che, sulla base di specifici atti di indagine, risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede e sussistono concreti elementi per ritenere che le relative conversazioni o comunicazioni siano attinenti ai medesimi fatti”.
     E’ evidente che la legge detta condizioni per limitare fortemente l’uso delle intercettazioni, per renderle spesso addirittura impraticabili in casi quali la corruzione e la pedofilia nei quali la ricerca dei collegamenti illeciti esige un’indagine a tutto campo.
     Anche la disciplina della durata delle intercettazioni, fissato in 75 giorni cozza contro l’esperienza la quale dimostra che per i reati per l’accertamento dei quali le intercettazioni sono essenziali (mafia, camorra, ndragheta, concussione, corruzione, sequestro di persona,  pedofilia) si richiedono lunghe verifiche. Sintomatica la disciplina dell’eventuale proroga alla quale eccezionalmente il pubblico ministero potrà ricorrere attraverso un complesso meccanismo di provvedimenti motivati in via autonoma, reiterabili di 3 giorni in 3 giorni, da sottoporsi a convalida entro altri 3 giorni da parte del tribunale distrettuale collegiale. Una procedura defatigante, spesso impraticabile anche per le difficoltà organizzative derivanti dalla competenza del tribunale.
    Un bavaglio per la stampa, dunque, e un impaccio per la giustizia. Ciò che si voleva, che voleva la maggioranza, che voleva il Cavaliere che, comprendendo l’impopolarità della normativa, ha già detto che non è quanto desiderava, insistendo sulla difesa della riservatezza, diritto sacrosanto, naturalmente, che va messo a confronto con gli interessi generali alla repressione dei reati.
     Infine, va detto che gli italiani, ai quali il Cavaliere fa intendere che d’ora in poi non saranno saranno più spiati, non avevano nessuna preoccupazione in tal senso, convinti, giustamente, che a temerle erano e sono soltanto le persone che commettono reati, quelli che tutti vorrebbero volentieri dietro le sbarre.
     Si tratta, dunque, di una legge contro l’informazione e la giustizia che, con la scusa, evidentemente infondata, di difendere la riservatezza dei cittadini, in realtà protegge il malaffare di pochi.
     Sintomatico l’atteggiamento di Berlusconi fin dal primo annuncio dell’iniziativa, quando, parlando ai giovani industriali, enunciò le regole minacciando la galera a destra ed a manca e riscuotendo applausi scroscianti (compresi quelli dei concussi e dei corruttori).
     “Senso dello Stato zero” si potrebbe ripetere con Gianfranco Fini che adesso si trova la patata bollente a Montecitorio, sotto tiro dell’opposizione e i mal di pancia di molti della maggioranza.
     Da ultimo va detto che l’unico effetto sarà quello negativo sulle indagini, mentre la stampa aggirerà alla grande i divieti. Le intercettazioni saranno pubblicate da giornali e da siti esteri. Se i nostri le riprenderanno saranno sanzionati? C’è da dubitarne. Intanto concussori e corruttori staranno tranquilli. Applauso continua!
11 giugno 2010

Il ddl sulle intercettazioni
Fini: lo strappo non ci sarà
di Senator

     Alla fine, dunque, Fini non rompe con il Cavaliere sul disegno di legge che disciplina le intercettazioni, un testo che scontenta molti dai magistrati ai giornalisti, ai cittadini perbene, quelli che vogliono che i reati siano accertati e puniti.
     “La rinuncia allo strappo” titola oggi Pierluigi Battista nell’editoriale  del Corriere della Sera nel quale spiega perché il Presidente della Camera, già leader di Alleanza Nazionale non rompe con il Premier. Lo “strappo” di Gianfranco Fini dunque “non è all’ordine del giorno”, scrive Battista, e si chiede perché “la sfida spettacolare lanciata del presidente della Camera in diretta tv nell’aprile scorso non sfocia in una separazione con il premier Berlusconi”.
     E’ lo stesso Berlusconi, a mio giudizio, che ha disinnescato la mina e spento la miccia, quando ha apertamente affermato che il disegno di legge è molto lontano da quello che lui avrebbe voluto.
     Questa insoddisfazione del Premier giustifica la rinuncia di Fini a dare battaglia alla Camera. “Non dobbiamo stravincere” è una sua ricorrente affermazione. Sa che per vincere fino in fondo deve mettere in conto una rottura definitiva  dalle conseguenze imprevedibili. Non ci sono leader alternativi nel centrodestra, l’opposizione offre quotidianamente una patetica espressione d’impotenza. Il confronto Tremonti Bersani ad AnnoZero ha avuto tratti di comicità ed altri di deprimente obnubilazione. Sembravano due amici al bar al decimo bicchierino. Incerti nelle reciproche accuse essendo evidente che l’una e l’altra maggioranza sono state inadeguate rispetto alla lotta all’evasione fiscale ed agli sprechi.
     Si è visto un duello a base di accuse, neppure tanto velate, su manovre finanziarie e privatizzazioni che hanno arricchito gli industriali “di riferimento”.
     In queste condizioni Fini non può rischiare di essere estromesso dalla maggioranza, anche se sono evidenti, giorno dopo giorno, le difficoltà del Cavaliere in calo di popolarità e di potere, eroso dall’incertezza dell’agire, dalla inadeguatezza della manovra economica che è solo una “pezza” messa lì perché qualcosa si doveva fare perché-lo-dice-l’Europa.
     Le difficoltà del Cavaliere muovono i vari Maramaldi, gente che lo ha osannato prosternandosi e che oggi che lo vede ferito dalle banderillas dell’economia e dell’informazione sarebbe tentata all’affondo, ad uccidere l’uomo se non morto gravemente ferito.
     Tremonti, Fini e Casini si presentano, secondo alcune versioni giornalistiche, come un Trio di congiurati, meno dei senatori che immersero le loro lame nel corpo di Cesare. Berlusconi non è Cesare (certamente gli parrebbe poco) e il Trio non è Bruto, ma le Idi di Marzo, sia pure fuori stagione sono alle viste. Inevitabili, anche se è difficile prevedere la data dell’evento.
     La situazione politica è insostenibile. Il Paese è allo sbando, la riduzione delle risorse dell’Amministrazione manderà a gambe all’aria molte imprese fornitrici. Pagheremo ancora cassa integrazione quando sarebbe stato possibile una riconversione virtuosa della spesa pubblica in funzione di sollecitazione dell’economia e di incremento dei consumi.
     Il fatto è che l’economia è una cosa tremendamente serie e complessa. Non è per i ragionieri.
10 giugno 2010

La liberalizzazione delle imprese
Sconfitta la burocrazia, a rischio la legalità
di Salvatore Sfrecola

     Il Presidente del Consiglio ha affermato, con grande enfasi, che potrà essere costituita un’impresa presentando agli uffici competenti una semplice autocertificazione dei requisiti previsti dalla legge. “Stiamo studiando con il ministro Tremonti una misura rivoluzionaria – ha detto il Premier -, un grande piano di liberalizzazioni a cominciare dal rafforzamento della libertà d’impresa prevista dalla Costituzione» per cui si prevederà “per un arco di tempo di due o tre anni la totale autocertificazione per le piccole e medie imprese e per l’artigianato”.
   In sostanza, “si apre un’impresa senza chiedere autorizzazioni, ex post arrivano i controlli e se tu avrai osservato le leggi non avrai nulla da temere”.
     La misura è certamente popolare e opportuna, specialmente in periodo di crisi economica e il Presidente comunicatore non si è lasciato sfuggire l’occasione per un annuncio che piacerà a molti. Il costo per le imprese e per la comunità, tra adempimenti e tempi (il costo dei tempi, che nessuno calcola!), oggi è troppo alto Forse le cose non andranno così de plano, anche perché la competenza in  molti casi è delle regioni che certamente non si faranno imporre regole dallo Stato.
     L’annuncio, comunque, merita un commento. La burocrazia con le sue difficoltà ha reso un pessimo servizio a se stessa e alla comunità nazionale. Ha scoraggiato gli imprenditori onesti, ha spesso creato le condizioni per concussione e corruzione, ma soprattutto è venuta meno al suo ruolo di servizio ed ha danneggiato l’immagine del potere pubblico. Quel che impiegati e funzionari dimenticano troppo spesso è che essi sono “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.)  e il loro compito è far funzionare la struttura e suggerire alla dirigenza politica le eventuali modifiche di leggi e decreti perché i vari procedimenti si concludano nel minor tempo possibile. Non è stato quasi mai così.
     E adesso questa liberalizzazione cambia radicalmente il ruolo di molti uffici pubblici i quali non dovranno più autorizzare ma solo controllare. Va benissimo. Sperando che non si riproducano quei fenomeni di malcostume che hanno offuscato l’immagine della burocrazia italiana ai vari livelli di governo. In quanto è noto che spesso le autocertificazioni non sono veritiere e in sede di controllo qualche funzionario infedele potrà essere indotto a mettere la classica “pezza” dietro compenso.
      Se questo accadrà i tanti dipendenti onesti dovranno ringraziare i colleghi fannulloni o disonesti che hanno allungato oltre ogni limite ragionevole le procedure, anche le più semplici. Così offuscando l’immagine di tutti e dell’autorità pubblica.
     Infine, e per completezza, non si vede per quale motivo è stata avanzata da qualcuno l’ipotesi di una modifica della Costituzione, dell’art. 41, per la precisione, una norma che si apre con un comma veramente “liberale”: “l’iniziativa economica privata è libera”, per continuare (comma 2) che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ultimo comma , il terzo, prevede che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
     Alcuni principi e una disposizione programmatica.
     Cosa intende modificare il Ministro Tremonti? Quali gli ostacoli al buon funzionamento del sistema imprenditoriale? Non se ne intravedono. Che sia un’iniziativa per mettere mano alla prima parte della Costituzione, quella dei principi?
6 giugno 2010

La Manovra “anticrisi” ne ha previsto la soppressione
In difesa dell’Istituto Nazionale per Studi ed Esperienze di Architettura Navale (I.N.S.E.A.N.)
di Salvatore Sfrecola

     Giovedì sera, ad AnnoZero, il Ministro Tremonti ha confermato la decisione, contenuta nel decreto-legge sulla manovra anticrisi, di sopprimere l’Istituto Nazionale per Studi ed Esperienze di Architettura Navale (I.N.S.E.A.N.), con trasferimento delle competenze al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
     Lo ha detto rispondendo ai dipendenti dell’Istituto intervistati durante la trasmissione precisando che, a suo giudizio, era logico il passaggio al Ministero delle attribuzioni dell’Istituto e del personale. Non ha risposto neppure alla proposta di un ricercatore che ha ipotizzato come alternativa logica la fusione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche.
     Il Ministro evidentemente non sa di cosa si tratti, non se lo è fatto spiegare. Così non ha fatto una bella figura. Come nel caso degli enti culturali, soppressi  con un colpo solo, facendo infuriare il Ministro Bondi che non ne sapeva niente. Nel caso di questi enti il fatto grave è che il Ministro dell’economia aveva confezionato la norma soppressiva e l’aveva mandata a Palazzo Chigi dove nessuno aveva fatto ne a ne ba, come si dice. Anche lì, nella sede del Governo, ignoranza assoluta. In tutti i sensi.
     Torniamo all’I.N.S.E.A.N.
     Perché me ne occupo? E’ presto detto. Come magistrato della Corte dei conti ho controllato l’Istituto per alcuni anni ai sensi dell’art. 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259, il quale prevede, appunto, che al controllo sulla “gestione finanziaria” degli enti ai quali lo Stato partecipa al patrimonio si provveda mediante un magistrato della Corte che “assiste” alle riunioni del Consiglio di amministrazione e del collegio dei sindaci.
     Ho potuto constatare, e l’ho scritto nella relazione al Parlamento, che l’Istituto lavora egregiamente in un settore di grande rilievo scientifico e di importanza industriale straordinaria, un fiore all’occhiello della ricerca scientifica italiana in un settore, quello dell’architettura navale e non solo che si collega ad un’industria di notevole rilievo per l’economia italiana. In collegamento con importanti università straniere, svolgendo lavori commissionati perfino dalla marina degli Stati Uniti d’America.
     I compiti istituzionali dell’INSEAN, definiti originariamente dal R.D.L. del 24 Maggio 1946, n. 530 (che ha anche conferito all’Ente la denominazione di Istituto Nazionale per Studi ed Esperienze di Architettura Navale), ed integrati dal decreto legislativo del 29 Settembre 1999, n. 381, sono i seguenti:
– promozione e svolgimento di attività di ricerca teorica e sperimentale nel campo dell’idrodinamica navale e marittima, anche nell’ambito di programmi dell’Unione europea e di altri organismi internazionali;
– esecuzione delle esperienze con modelli di navi e dei loro organi propulsivi e di governo e di tutte le altre esperienze di idrodinamica navale e marittima che possono essere compiute negli impianti dell’Istituto o altrove, al fine di soddisfare le richieste dei Ministeri vigilanti, delle altre pubbliche amministrazioni, dell’industria cantieristica, delle società armatoriali o di privati in genere;
– partecipazione alle prove in mare che interessano le materie di propria competenza; valorizzazione, sviluppo precompetitivo e trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca svolta dall’Istituto;
– collaborazione con enti ed istituzioni italiani e di altri Paesi e con organismi sovranazionali che operano nel campo dell’idrodinamica navale e marittima;
– svolgimento, anche attraverso propri programmi di assegnazione di borse di studio e di ricerca, di attività di formazione nei corsi universitari di dottorato di ricerca, di attività di alta formazione postuniversitaria, di formazione permanente, continua e ricorrente. Svolgimento, altresì, di attività di formazione superiore non universitaria.
     L’Istituto offre, altresì, un supporto tecnico-scientifico alle amministrazioni pubbliche su loro richiesta.
     Al di là del significativo elenco delle attività, desunto dalla legge, l’Istituto collabora con importanti istituzioni estere, oltre alla Marina degli Stati Uniti d’America. Questo evidentemente Tremonti non lo sa perché comprenderebbe subito l’importanza. Ma pensate che la U.S. Navy si sarebbe rivolta all’I.N.S.E.A.N. se fosse un ente inutile e, pertanto, legittimamente destinato alla soppressione?
     E’ la dimostrazione che all’economia ed a Palazzo Chigi non sono in condizione di decidere perché manca loro la premessa che aveva sempre ispirato Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare”. Oggi si delibera senza conoscere.
     Speriamo che qualcuno si vergogni.
     Tra l’altro il Ministero dell’economia, che deve annualmente un contributo all’Istituto per garantire la continuità delle prestazioni rispetto ai tempi delle erogazioni della clientela, ha sempre versato in ritardo costringendo l’ente ad indebitarsi con l’istituto tesoriere ad un tasso superiore a quello dei B.O.T.. Un vero affare (per la banca, naturalmente).
     va detto, inoltre, che l’Istituto, che dispone di grandi vasche nelle quali vengono effettuate le sperimentazioni sui modelli, non studia soltanto i modelli di navi, chiglie, eliche, ecc. ma anche di aerei, treni e automobili in quanto il fluido acqua consente l’acquisizione di elementi di valutazione migliori di quelli che è possibile acquisire nella galleria del vento, in ragione della diversa consistenza dei due fluidi.
     Ma evidentemente tutto questo non è parso interessante a qualche oscuro burocrate ministeriale che per servire il “suo” ministro è andato troppo avanti ed ha fatto fare al povero Tremonti una pessima figura.
     Da ultimo, devo dire che negli anni nei quali ho controllato l’Istituto per conto della Corte dei conti ho potuto constatare che il personale lavora con grande impegno ed eccezionale professionalità guidato da dirigenti di prim’ordine con al vertice sempre un Ammiraglio con esperienza ed altissimo senso dello Stato (oggi l’Ammiraglio Ispettore Capo Giano Pisi), orgogliosi di servire lo Stato in un settore di rilevante interesse scientifico ed industriale.
     Ma questo sembra che non conti niente. Ometto di indicare gli spiccioli che garantirebbe la soppressione. Il Ministro arrossirebbe.
5 giugno 2010

I magistrati e la manovra “anticrisi”
Uno sciopero che la gente non capisce
(spulciando dalle lettere al Corriere della Sera)
di Salvatore Sfrecola

     Ho già scritto della difficoltà di comunicazione delle Associazioni dei magistrati le quali hanno proclamato uno sciopero che la gente non capisce, perché è difficile condividere una protesta che riguarda una categoria con un discreto trattamento economico in un momento nel quale buona parte degli italiani è chiamata a sacrifici, Il Premier continua a dire che non ha messo le mani nelle tasche degli italiani, infatti preferisce evitare che entri la solita somma in quelle tasche o che gli stessi cittadini abbiano meno servizi, a causa dei minori trasferimenti agli enti locali.
     A proposito dello stipendio dei magistrati l’ho qualificato “discreto” e non “buono” perché rispetto ai dipendenti dello Stato, delle Regioni e degli enti locali con funzioni dirigenziali (con i quali va fatto il confronto) i magistrati guadagnano di meno, molto di meno, anche perché nella maggior parte dei casi non hanno la possibilità di godere di guadagni extra stipendio. In molte amministrazioni, infatti, a cominciare dal Ministero dell’economia e delle finanze buone entrate derivano da incarichi vari, partecipazione a Consigli di amministrazione, collegi sindacali, ecc., che assicurano in qualche occasione anche fine settimana ameno nelle località dove hanno sede gli enti “controllati”.
     C’è anche da dire che i magistrati sono tenuti, se vogliono fare bene il loro lavoro, ad un continuo aggiornamento su libri e riviste. Un costo non indifferente che non è possibile “scaricare” in sede di dichiarazione dei redditi, come può fare l’avvocato, un operatore della Giustizia che si confronta giornalmente con i giudici.
     Compro mensilmente varie centinaia di euro di libri e il gestore della libreria (specializzata in pubblicazioni giuridiche e pertanto frequentata da Professori universitari, avvocati, notai, magistrati) continua a chiedermi se voglio la fattura o è sufficiente la ricevuta. Mi basta questa, non potrei utilizzare la fattura per scaricare sia pure una parte del costo dei libri e delle riviste.
     Detto questo, ed aggiunto che il lavoro del magistrato è duro ed impegna anche i sabati e le domeniche, giornate ideali per scrivere una sentenza o per definire un atto di citazione in giudizio nel silenzio della propria abitazione,  la gente non capisce che per scrivere un atto giudiziario corretto e dignitoso ci vogliono a volte molte ore e spesso molti giorni, considerato il profluvio della legislazione, spesso incomprensibile e contraddittoria, e della giurisprudenza, E tenuto conto del fatto che la motivazione deve dare conto approfonditamente delle ragioni della pronuncia, soprattutto quando il provvedimento è negativo per una parte, che deve essere messa nella condizione di valutarlo e capire se accettarlo, magari obtorto collo, o impugnarlo.  La chiarezza degli atti giudiziari è condizione di giustizia e dimostrazione di civiltà giuridica.
     Ecco perché i magistrati hanno una speciale sensibilità per il loro trattamento economico, che non consente loro di vivere nel lusso, come taluni credono, ma assicura quell’indipendenza che non è richiesta al dirigente pubblico obbligato a seguire le indicazioni del Ministro, del Presidente della regione, del Sindaco, ecc. e per questa “dipendenza” viene compensato spesso con vari benefits, in particolare con incarichi  ben remunerati.
     Nella situazione di crisi economia in atto e nella prospettiva di un suo aggravamento i magistrati protestano per i tagli e per le limitazioni delle promozioni e degli aumenti periodici e automatici (in relazione alla progressione economica delle altre categorie di pubblici dipendenti, è bene precisare, per cui se non ci sono aumenti contrattuali anche i magistrati rimangono al palo) che danneggia soprattutto i più giovani, coloro i quali, avendo lasciato spesso ottime posizioni in altre amministrazioni o nel privato, impegnandosi in una concorso difficile ed altamente selettivo, si trovano a guadagnare meno di prima. Una situazione che ognuno può considerare obiettivamente di disagio, se non frustrante.
     Tutte queste cose la gente non le sa per cui non comprende le ragioni dello sciopero preannunciato che, anzi, condanna duramente in vario modo, soprattutto perché ha motivi di critica nei confronti della giustizia, lenta, troppo lenta, soprattutto quella civile, che rende incerto quel diritto che spetta proprio ai giudici tutelare.
     Spulciamo tra le lettere che in proposito ha ricevuto il Corriere della Sera, certo non un giornale eversivo, letto prevalentemente dalla  borghesia delle professioni.
     Le richiamo sottolineando i concetti più significativi.
     “pensavo che avessero molto più buonsenso questi signori, invece sono peggio dei politici scadenti. In uno stato civile ogni cittadino si deve sentire pilastro della società, non solo i magistrati”.
     “Anche se la destra, ai tempi di Prodi, si mise di traverso contro la sacrosanta battaglia del governo di allora nei confronti dello strapotere dei tassisti, l’opposizione non si comporti allo stesso modo con lo sciopero assurdo indetto dai magistrati. Questo non perché condivida i provvedimenti del governo Berlusconi Bossi, che giudico ridicoli, sia per quanto riguardo gli interventi sui lauti stipendi di magistrati e politici, i più alti d’Europa, sia per quanto riguardo il taglio ai partiti. Ma perché è tempo che la gente perbene di destra e di sinistra ponga fine a questo scempio del pubblico denaro”.
     Di che ci meravigliamo ? “Che la magistratura, potere armato del sistema pubblico, userà tutte le armi a sua disposizione per difendere il dominio conquistato dal sistema pubblico sul Paese che produce e lavora?”
     LA CASTA TIENE DURO “Dalle ultime elezioni la casta magistrati non ha imparato nulla?! Se vi ricordate poco prima del voto Berlusconi li aveva attaccati più volte frontalmente. Il voto alla fin fine è stato favorevole a Berlusconi e ciò può anche apparire come un volere degli italiani affinché il premier continui la sua offensiva antimagistratura (politicizzata). Ma come al solito in Italia chi ha dei privilegi non vuole più mollarli pensando evidentemente che questi gli derivino da un diritto divino. Se tali signori avessero accettato di fare qualche sacrificio, visto la crisi economica attuale, forse avrebbero riguadagnato qualche punto di credibilità di fronte ai cittadini”.
     Andate a lavorare! “Ma se sciopera chi guadagna 5.000 euro al mese (3.000 il primo giorno di lavoro) cosa dovrebbero dire gli insegnanti, gli impiegati, i cancellieri, ecc.? I magistrati sono l’unica categoria che si autopromuove e si autoassolve, la carriera è automatica a prescindere dal merito,mai visto un magistrato pagare per i suoi errori, a volte colossali. Per avere una sentenza di terzo grado servono 10 anni, e i nostri sono i magistrati più pagati d’Europa. Questo sciopero ha del grottesco”.
     commentare? è come sparare sulla Croce Rossa! “Ma come si fa a non avere il senso del ridicolo? A parte la somma immensa in busta che questi percepiscono, e di cui poco mi frega se non fosse che si tratta di risorse sontuose sottratte all’amministrazione della giustizia, a parte il monte ore che permea un’attività ormai fonte – così come viene svolta da questi eroi – di disagio sociale e danno economico nazionale. A parte tutto questo e altro ancora, mi interessa quel che trasmette una presa di posizione del genere: è gente che vive fuori dal mondo! e nulla fa per rientrarci!!! E questo traspare in modo ormai cristallino anche dalle sentenze: roba fuori dal mondo. Povera giustizia”.
     Ma vergognatevi magistrati “Fossi al governo farei tagli ben più pesanti su tutte le fasce alte di reddito della pubblica amministrazione. La magistratura poi farebbe bene a non cercare di porsi come vittima, per la qualità dei risultati del lavoro che fanno, con l’enorme arretrato e i tempi scandalosi dei processi, gli stipendi che percepiscono sono oltraggiosi. Occorrerebbe una seria riforma che elimini il CSM e riformi del tutto la giustizia, velocizzando i processi, e con un organo indipendente che valuti i risultati dei magistrati e penalizzi, fino al licenziamento, quelli improduttivi”.
     Semplicemente offensivo “Questa levata di scudi dell’ANM mi sembra semplicemente offensiva nei confronti delle migliaia di cittadini che ogni mese devono tirare avanti con retribuzioni che ammontano a molto meno di quelle dei magistrati. E questo a maggior ragione quando si pensi che le nostre toghe beneficiano di uno degli stipendi più alti d’Europa e che, al contrario, la giustizia italiana, specie nel settore civile, è una delle più elefantiache ed inefficienti del continente. Se, oltre a questo, consideriamo i privilegi di cui i nostri giudici e pm beneficiano (un mese e mezzo di ferie l’anno, scatti di carriera e stipendio automatici a prescindere dalle funzioni effettivamente svolte, ecc.) c’è da sorprendersi non poco del fatto che i sindacalisti della categoria abbiano avuto la faccia tosta di aver promosso questa agitazione”.
     Abbeverati di bugie “Vi fanno credere che i magistrati scioperano per decurtazioni minime di stipendio. E’ un’emerita balla: nella sua ingiustizia (perché colpisce solo il pubblico impiego) la manovra è anche iniqua perché nell’ambito della stessa categoria dei magistrati ad alcuni toglie il 2% e ad altri il 30%. Se un magistrato non dovesse protestare a fronte di un taglio così penalizzante non potrebbe difendere neppure i diritti dei cittadini che gli si rivolgono. Ed è proprio quello che si vuole. Lo sciopero, proclamato pubblicamente, serve ad evitare un mercanteggiamento oscuro, che è proprio quello che la politica vorrebbe. Se volete che negli ospedali pubblici ci siano medici preparati, questi vanno pagati adeguatamente. Altrimenti sarete curati da macellai. Lo stesso vale per qualsiasi settore. Fatevi due conti”.
      Lo sciopero più ridicolo del mondo “Questa ci mancava: i magistrati che scioperano per i soldi! Un magistrato di prima nomina, cioè al primo giorno di lavoro, guadagna 3.200 euro, dopo pochi anni ne guadagna intorno ai 5.000, a fine carriera 10.000.I nostri magistrati sono i più pagati e allo stesso tempo i più lenti d’Europa. Solo in Italia inoltre esistono le correnti, il cui unico scopo è quello di condizionare il Governo di turno. Un magistrato tiene udienza due volte alla settimana dalle 9:30 alle 12:30. I magistrati si promuovo e si assolvono tra di loro, la percentuale di avanzamento di carriere è del 98% circa, quella dei licenziamenti dell’1%. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere”.
     Dibattito pubblico “Innanzi tutto:i magistrati mettono in risalto i loro problemi anche attraverso lo sciopero perché il “vaso è ormai stracolmo” ed è stracolmo non solo per l’attacco ai loro stipendi, ma per quello che stanno subendo in termini discriminatori oramai da decenni. Altra questione io gradirei sentire dalla viva voce di questa categoria, innanzi tutto, quali sono le loro paghe reali. Non sarebbe utile una bella discussione in televisione sulle motivazioni della loro protesta? A me non interessa sapere le motivazioni di chi la spara più grossa da parte di gente che non conosce. Che cosa ne dite di una discussione pubblica alla luce del sole di magistrati con Ministro della giustizia? Già, per loro non è opportuno possano dire la loro in televisione sulla realtà delle buste paga e dello stato della magistratura e dove sono le responsabilità”.
     I magistrati sono l’unico potere che serve “Gli altri due, il legislativo e l’esecutivo, potrebbero benissimo licenziare l’80% degli adepti che le cose andrebbero meglio. Invece si pagano le “trote” regionali 9000 euro al mese per potere chiacchierare con le igieniste mentali del premier elette. Un magistrato che lavora 40 ore alla settimana non prende che l’ombra di queste cifre”.
     LA RISPOSTA: “Non metto in dubbio la sua personale abnegazione al lavoro ma darà atto che in Italia un processo penale dura qualche anno ed uno civile arriva a decenni (il massimo che ho letto sui giornali 40 anni) senza poi parlare del tenore di molte sentenze che ci lasciano quanto meno sbalorditi. Lei la chiama “giustizia”? Peraltro non precisa se il suo stipendio (? 3.800) sia netto o lordo, nel primo caso, dopo solo 10 anni di lavoro dovrei usare un termine non corretto e me ne astengo; se invece lordo direi che è una retribuzione già da privilegiato e non me ne lamenterei più di tanto ed eviterei di scioperare in un momento difficile come l’attuale per milioni di lavoratori non baciati dalla sua fortuna. In merito alla produttività, declamata dall’OCSE, mi permetta di fare una considerazione se gli altri stanno peggio di noi non vuol dire che noi stiamo bene .. non le pare? e non assolve la sua “corporazione” o “casta” dai privilegi che avete sempre avuto e continuate ad avere e che altri in questo sito hanno ben evidenziato. Un suggerimento per lei e suoi colleghi state tirando un pò troppo la corda .. evitate di scioperare e abbiate un basso profilo in questo periodo, il popolo italiano incomincia ad essere stufo di non poter ricorrere alla “giustizia” perché tra lungaggini e costi … si rischia di avere ragione “postmortem”. Con tutta la mia considerazione per la “Giustizia” con la “G” maiuscola. Cordiali saluti
     “La Magistratura, secondo me, è il principale problema del Paese. Politicizzati, sindacalizzati, vanitosi e megalomani. Niente a che fare con l’imparzialità di giudizio. Purtroppo quelli che rispondono a queste caratteristiche, anche se minoranza, sono quelli che comandano”.

     Dobbiamo tenere conto di queste osservazioni. Molte non riguardano i giudici, ma le leggi, le procedure e gli strumenti di lavoro  (in particolare per quanto attiene alla lentezza dei processi), ma è indubbio che la categoria dei giudici non si fa amare e conseguentemente perde credibilità agli occhi della gente. E’ necessario che le Associazioni ei magistrati s’impegnino, giorno dopo giorno, per restituire smalto all’attività giudiziaria e rendere ai cittadini quel servizio giustizia che la Costituzione e la nostra cultura giuridica pongono al centro degli interessi e della vita stessa della società. Fiat iustitia ne peraet mundus! (sia fatta giustizia affinché il mondo non vada in rovina), come diceva Hegel.
5 giugno 1010

A Varese il 2 giugno canzonette invece dell’Inno di Mameli
 La classe dirigente della Lega non riesce a crescere nonostante i successi elettorali
di Salvatore Sfrecola

     Roberto Maroni è un Ministro della Repubblica, un buon Ministro dell’interno. Ha giurato fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi, che si è impegnato a rispettare e a far rispettare.
     Eppure a Varese, il 2 giugno, ha assistito alla Festa della Repubblica nel corso della quale non è stato suonato l’Inno di Mameli, sostituito da canzonette, sia pure famose, ma sempre canzonette. Neppure il bellissimo ma triste Va pensiero dell’italianissimo Giuseppe Verdi, colui che i patrioti sorvegliati a vista dagli sbirri dell’Imperial Regio Governo d’Austria evocavano con un Viva Verdi, che significava viva Vittorio Emanuele Re d’Italia.
     Una carnevalata, ha scritto il Corriere della Sera, un segno di debolezza, credo di poter affermare, dopo che Renato Mannheimer  ha accertato che oltre il 70 per cento degli elettori leghisti considera positivamente l’unità nazionale.
     Non leggono, forse, i sondaggi Bossi e i suoi uomini? O non sanno interpretarli? O pensano che nell’attuale sconcerto dell’opinione pubblica si debbano rispolverare i luoghi comuni del Nord virtuoso e di “Roma ladrona”, dopo aver detto che tutto andava bene, che la crisi era alle spalle e la ripresa in atto, mentre si prospetta una significativa riduzione dei servizi pubblici locali e di quelli sanitari in specie per rientrare nei parametri del patto di stabilità imposto dall’Europa?
     Delude la Lega delle buone pratiche amministrative, dell’attenzione alle aspettative della gente, che si è allargata verso il Centro, fino a sfiorare la Capitale. Un insulto all’Inno nazionale dopo aver insultato ripetutamente la bandiera!
     Il Presidente Napolitano sarebbe contrariato anche dell’assenza di Ministri leghisti alla parata di via dei Fori Imperiali. Non basta. Il Capo dello Stato vuole evitare di far crescere la tensione nei confronti della maggioranza. Spetta al Presidente del Consiglio richiamare all’ordine i suoi ministri, imponendogli un comportamento più consono al loro ruolo costituzionale ed al giuramento sottoscritto all’atto della formazione del Governo. Se Bossi e soci si comportano così è perché il Cavaliere ha sempre dimostrato di essere succubo della Lega, dei voti che assicura al Nord. Ma attenzione, la volubilità degli italiani ha fatto brutti scherzi in passato a governi di vario colore, soprattutto quando hanno attentato alle loro tasche
3 giugno 2010

Evidentemente il Premier si crede spiritoso
Berlusconi sul più giovane magistrato d’Italia:
“poverino sarà disperato”
di Senator

     In vena di scherzi e battute, come sempre il Presidente del Consiglio ne ha per tutti nei giardini del Quirinale, dove partecipa al ricevimento per la Festa della Repubblica. Caracollando, secondo il suo abituale incedere che evidentemente ritiene raffinato, il Cavaliere, come riferisce il Corriere della Sera, ad una signora che gli si avvicina e dice, “Presidente, sa che mio figlio è il più giovane magistrato d’Italia?” risponde “poverino, sarà disperato”.
     La frase potrebbe avere varie interpretazioni. E’ disperato perché è il più giovane e si trova a convivere ed a lavorare con colleghi più anziani di lui. Improbabile. La magistratura si è molto ringiovanita. E comunque sarebbe un’attenzione per il lavoro di magistrato che non abbiamo mai sentito uscire dalle labbra del Premier che invece dei giudici ha detto che sono delle persone “mentalmente disturbate”.
     Il 4 settembre 2003, in un’intervista  realizzata da Boris Johnson, direttore del settimanale conservatore britannico The spectator e da Nicholas Farrel, editorialista de La voce di Rimini, invitati dal Premier in Sardegna, nella sua residenza di Porto Rotondo il Cavaliere definisce i giudici “persone mentalmente disturbate, altrimenti non potrebbero fare quel lavoro”.
    In quella occasione ce l’ha anche con i giornalisti. Sostiene che lo attaccano perché sono “gelosi e vorrebbero essere me”.
     Come sempre Paolo Bonaiuti tenta di rimediare, una sorta di marcia indietro. Parla di “battute sul filo del paradosso”, e sostiene  che il resoconto è viziato “dalla differenza di lingua” e da una “coloritura giornalistica”. Nessuna smentita, dunque.
     D’altra parte è quello che ritiene il Premier disturbato dal fatto che, di tanto in tanto, per il suo pregresso ruolo di imprenditore ben corazzato politicamente, viene indagato dai giudici.
     C’è un’assoluta ostilità nei confronti della magistratura. Anche lo stesso Angelino Alfano non ne fa mistero, anzi si esibisce in performance certamente  assai gradite a chi lo ha tolto dall’anonimato per farne un ministro della Repubblica, anzi il Ministro della Giustizia. Così, quando finita la bagarre della presentazione delle liste elettorali, ad elezioni avvenute, a Ballarò, a Di Pietro che gli chiedeva se non ritenesse di dover restituire la loro dignità di onesti magistrati dello Stato ai vari giudici intervenuti a giudicare dei ricorsi in materia di liste il Ministro non ha inteso ragioni, e, nonostante le ripetute sollecitazioni, ha menato il can per l’aia.
     Pessima figura. Con un po’ di onestà intellettuale, a cose fatte, dopo il successo conseguito nelle elezioni regionali avrebbe potuto riconoscere che quei magistrati avevano fatto il loro dovere fino in fondo.
     Non si incarnano così le istituzioni, Berlusconi e i Berluscones imparino da ciò che accade all’estero dove nessun politico insulta i giudici perché inquisito. Forse accade nelle repubbliche delle banane. Ma dubito che anche lì, almeno nella forma, il senso delle istituzioni sia mantenuto.
2 giugno 2010

Uno sciopero che la gente non capisce
Le associazioni dei magistrati non sanno comunicare
di Iudex

    Abituati a scrivere sentenze, ordinanze e decreti, indicando nelle premesse, leggi ed atti “visti”, con molti “considerato” e “ritenuto”, per dare una sequenza logica al ragionamento destinato a chiudersi con un P.Q.M. (per questi motivi), che apre alla decisione adottata in nome del popolo italiano, i giudici hanno poca dimestichezza con il linguaggio della comunicazione politica e giornalistica e ne pagano le conseguenze nel momento in cui contestano la manovra economica destinata a “limare”, come si usa dire, i loro stipendi: – 5 per cento tra 90 mila e 150 euro, – 10 per cento sulle somme ulteriori.
     La categoria protesta, l’Associazione Nazionale Magistrati e le altre associazioni del magistrati amministrativi (TAR e Consiglio di Stato) e contabili (Corte dei conti) e degli Avvocati dello Stato  preannunciano uno sciopero ritenendo che la riduzione dello stipendio incida sull’indipendenza di giudici e pubblici ministeri.
     La gente chiamata a sacrifici, per riduzioni di stipendi (i dipendenti pubblici) e per la probabile contrazione di servizi sociali in relazione ai minori trasferimenti agli enti locali, non capisce le ragioni di questa protesta. Ritiene i magistrati una categoria privilegiata (“Ultracasta” l’ha definita Stefano Livadiotti) dal punto di vista degli stipendi e poco produttiva, considerati i tempi della giustizia, soprattutto di quella civile. E la stampa, soprattutto quella vicina al Governo ed alla sua maggioranza, che ha fatto della polemica contro la magistratura un motivo dominante della sua battaglia politica, enfatizza ogni questione che possa mettere in cattiva luce i magistrati, dalla lentezza dei processi, appunto, alle scarcerazioni che la gente non capisce, alle inchieste che non si concludono mai e che, quando interessano personaggi in vista della politica e dell’economia, spesso finiscono con l’accertamento della prescrizione.
     La gente non sa che il carico di lavoro è enorme, che le leggi più recenti sembrano fatte apposta per impedire le indagini, come dimostra la normativa in corso di approvazione in Senato sulle intercettazioni, criticata perfino dal Sottosegretario alla Giustizia del Governo americano.
     Ma torniamo alla questione delle misure anticrisi ed allo sciopero preannunciato in difesa della autonomia della magistratura.
     La gente non sa che il trattamento economico dei magistrati, a differenza di quello degli altri pubblici dipendenti, non è determinato in sede di contrattazione collettiva tra Governo e Sindacati o definito autonomamente dal Ministro, dal Presidente della Regione o dal Sindaco, come avviene per i dirigenti e per gli amministratori di quella miriade di società a capitale pubblico che un tempo erano semplicemente aziende autonome e municipalizzate con gli stessi stipendi dei dipendenti pubblici. Un esempio per tutti, tratto dal Corriere della sera di qualche giorno fa: il Capo di Gabinetto del Sindaco di Roma, un ente in gravi difficoltà finanziarie, che ha implorato, e ottenuto, l’aiuto del Governo, gode di una indennità di 298 mila euro, molto di più di quanto, allo stesso titolo, è riconosciuto ai Capi di Gabinetto di molti ministri.
     Per i magistrati lo stipendio è stabilito dalla legge, a garanzia della loro indipendenza e per evitare di vedere una categoria di pubblici dipendenti che incarnano un potere dello Stato, la Magistratura, entrare in rotta di collisione con un altro potere dello Stato, il Governo. Per accentuare questa autonomia è anche stabilito, sempre con legge, che i magistrati  conseguono un aumento periodico percentuale ancorato alla media degli aumenti delle altre categorie del pubblico impiego. In sostanza se professori, ministeriali, militari, ecc. conseguono un aumento se ne avvantaggiano anche i magistrati con un meccanismo percentuale che ha una evidente funzione perequativa.
     Ora la manovra economica non solo riduce gli stipendi come si è già detto, ma blocca gli aggiornamenti periodici in funzione perequativa e sterilizza le promozioni dei magistrati più giovani.
     Non è dubbio che colpire  una categoria che non può contrattare il proprio trattamento economico e che nella stragrande maggioranza non ha altre fonti di sostentamento, considerato che articoli e libri non hanno arricchito nessuno, con esclusione del prode Bruno Vespa, l’aedo del Cavaliere, è un’azione che va contro l’indipendenza della Magistratura. Ma la gente non lo capisce. Ritiene che gli stipendi di cui parlano a volte i giornali, buoni ma nettamente inferiori  a quelli dei grad commis dello Stato e degli enti pubblici, siano un privilegio, soprattutto perché la Giustizia obiettivamente funziona poco.
     Continuare su questa polemica non giova ai magistrati. I quali, invece, dicendosi consapevoli che la situazione richiede sacrifici dovrebbero accettarli, ma protestare per la sperequazione che la manovra attua all’esterno, perché colpisce solo il lavoro dipendente  in specie pubblico, e all’interno perché danneggia i più giovani.
     Bene ha fatto, dunque,  l’Associazione Magistrati della Corte dei conti che, nel proclamare lo sciopero della categoria, “con tempi e modalità che verranno concordati unitamente alle altre magistrature”, ha denunciato che le misure contenute nel decreto-legge all’esame del Parlamento, “oltre a risultare gravemente discriminatorie nell’ambito dello stesso comparto del pubblico impiego, l’unico colpito dalle misure anticrisi, finiscono per essere anche lesive dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati, poiché incidono sul meccanismo dell’adeguamento stipendiale – che opera solo a seguito degli aumenti ottenuti dalle altre categorie di pubblici dipendenti – e, ancor più gravemente, bloccano le progressioni di carriera dei magistrati con minore anzianità di servizio”. Aggiungendo che “la Corte dei conti ha ripetutamente, e anche di recente, segnalato al Governo e al Parlamento inefficienze e sprechi sui quali sarebbe possibile incidere concretamente, recuperando anche nell’immediato risorse ben superiori a quelle che potranno derivare dai tagli previsti nella manovra”. Concludendo che “non solo non si perseguono adeguatamente sprechi e corruzione, ma anzi, con provvedimenti anche recentissimi, sono state pregiudicate le possibilità di recupero di ingenti danni erariali, già individuati o accertati dalla magistratura contabile”.
     Un linguaggio chiaro, comprensibile dalla gente disgustata dagli sprechi e dalla corruzione che ogni giorno vengono alla ribalta della cronaca. Situazioni denunciate proprio dalla magistratura contabile che nelle più recenti relazioni in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario e nei referti al Parlamento ha indicato le aree e le fonti di spreco, rimanendo inascoltata.
     Nel frattempo il giornale “di famiglia”, che fa da cassa di risonanza delle opinioni del Presidente del Consiglio continua a martellare l’opinione pubblica, peraltro sempre meno convinta di queste “verità”, che i magistrati italiani guadagnano più degli altri e lavorano meno. Come scrive Francesc? Cramer su Il Giornale  con stucchevole ripetitività, disturbato per il fatto che i giudici si siano detti pronti allo sciopero “e anche ad altre forme di protesta alternative allo sciopero”, il cosiddetto “sciopero bianco”, consistente nel rigoroso esercizio delle funzioni  “senza svolgere alcuna delle attività di supplenza di cui si fanno carico abitualmente per le carenze di organico del personale amministrativo”. Dà fastidio perché questa protesta mette in risalto le gravi inefficienze dei tribunali per mezzi e uomini, senza dire delle procedure. Una situazione che denuncia soprattutto la disattenzione della classe politica di maggioranza dedita solo alla limitazione delle intercettazioni, un piacere fatto a molti, soprattutto a  concussori e corruttori.
     Così Cramer snocciola dati che sarebbero consegnati in un recente studio del Consiglio d’Europa i cui dati appaiono ictu oculi, per usare il latino dei tribunali, inattendibili, non tanto per i 1.292 tribunali italiani contro i 595 inglesi e i 773 francesi (ma non è forse compito del Governo e del Parlamento stabilire il numero delle sedi giudiziarie?). Poi ogni 100mila abitanti la Francia ha 11,9 giudici, la Spagna 10,1, la Gran Bretagna 0,7, l’Italia 13,7. Forse Cramer non conosce i dati del carico giudiziario in un Paese nel quale si ricorre al giudice per ogni minima controversia. “In Italia ogni toga ha 4,2 addetti mentre la Germania ne ha 2,9”. Anche qui si tratta di vedere come sono fatte le statistiche, quali dati assumono a base delle rilevazioni. Non ho mai avuto 4,2 addetti. Anzi spesso ho avuto una parte di segretario o segretaria, condiviso/a con altri colleghi.
     E’ un po’ come la famosa statistica di Trilussa, secondo la quale se la metà degli italiani mangia un pollo a testa vuol dire che tutti gli italiani mangiano mezzo pollo al giorno.
     Ma certa stampa non ha interesse e voglia di approfondire, di dire come stanno le cose di contribuire, sia pure con critiche fondate, al miglioramento della Giustizia. Il Presidente del Consiglio, a capo di una istituzione dello Stato, afferma che i componenti di un’altra istituzione, quella che deve assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, è fatta di disturbati mentali. Necessariamente di disturbati mentali. E parte della stampa lo segue. E’ un’azione eversiva, senza mezzi termini, che ha paragoni solo nelle classiche repubbliche delle banane.
     Detto questo riprendo quanto ho cominciato a dire iniziando. I Magistrati italiani e le loro associazioni dovrebbero rivolgersi a persone esperte di comunicazione per individuare il taglio da dare alla loro protesta e per ottenere consensi tra la gente. Quello della comunicazione è un mestiere lontano mille miglia dalla mentalità dei magistrati che spesso non sanno comunicare neanche il senso delle loro pronunce con un linguaggio accessibile ai cittadini.
     Figurasi se possono entrare in competizione con il Cavaliere che ha convinto molti di essere un liberale. Per cui Camillo di Cavour e Luigi Einaudi si rivoltano nella tomba.
1° giugno 2010

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