Fogli sparsi
di Domenico Giglio
Dividendi
La richiesta alle banche di sospendere l’erogazione dei dividendi, già previsti, è partita giorni or sono dalla Norvegia, felice monarchia dove il bilancio dello stato è in attivo, grazie al petrolio del Mare del Nord, ed il reddito pro capite è tra i primi in Europa e nel mondo, quasi doppio rispetto a quello dell’Italia. Alla Norvegia sono seguiti altri paesi ed ora anche in Italia si chiede e si ottiene dagli istituti bancari, tra i primi, la sospensione dei dividendi, “remunerazione del capitale”. Frase esatta, ma non completa perché per centinaia di migliaia di italiani quei dividendi sono una integrazione di pensioni modeste o ferme da anni (le pensioni di piombo), e frutto di investimenti mobiliari di risparmi di tutta una vita. Il tutto deciso da burocrati, “burosauri”, sicuri dei loro emolumenti, con gli scatti contrattuali ed altri benefici, ed accolti da amministratori dai compensi annuali a sei zeri, che, come i giocatori di calcio, potrebbero ridurre sensibilmente, e qualcuno pare lo stia facendo, senza finire sul lastrico! Che queste decisioni dipendano dalla attuale pandemia d’accordo, ma tra l’azzeramento ed una riduzione di questi compensi c’era e c’è spazio, non dimenticando che i dividendi si riferiscono al 2019 e sugli stessi i piccoli azionisti contavano per ripianare il loro modesto bilancio. “Est modus in rebus : sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit ”-(Orazio : Satire –lib. I – sat. I )-
Macro problemi micro stati
Le misure sanitarie prese in tutto il mondo per cercare di bloccare questa pandemia causata da un nuovo virus, le difficoltà di mettere insieme dei provvedimenti non solo sanitari, ma anche economici, nell’ambito dell’Europa la cui unione collega attualmente ben 27 stati dimostra che “tot capita, tot sententiae”. Ora se questi accordi sono difficili dato il numero delle teste, e solo l’unione di scienziati di tutti questi paesi mettendo in comune mezzi ed esperienze può trovare e produrre delle soluzioni ai problemi, a questo punto soprattutto economici e sociali, per riprendersi in tempi brevi, pena un’altra forse peggiore pandemia di povertà e disoccupazione, si deve necessariamente trovare punti d’incontro e sinergie. Ora più che mai, l’idea perseguita da minoranze secessioniste che vogliono creare nuovi stati, logicamente di piccole dimensioni, appare perciò fuori della realtà. Non è più tempo per sogni di ambiziosi che si rifanno a storie e storia di più secoli or sono. Lo stesso discorso vale per combattere il terrorismo di cui oggi si parla meno o nulla perché tutto lo spazio è preso dalla notizie sul corona virus, ma che non possiamo pensare o sperare che sia debellato e che dall’Afganistan, alla Siria e altri posti ha provocato più morti della attuale morbo ed ha messo in ginocchio intere nazioni, con città distrutte e milioni di profughi. Si afferma giustamente che quando sarà bloccata questa pandemia non si potrà tornare integralmente alla vita precedente e che dovremo fare tesoro dell’attuale esperienza, forse eccessivamente enfatizzata, e questo dovrà valere sia nei rapporti tra gli stati, particolarmente della indispensabile Unione Europea, che, a tutt’oggi non ha dato una grande prova di efficienza e solidarietà, sia a far rientrare definitivamente le richieste referendarie per la separazione della Scozia o della Catalogna.
Il Veltro dantesco
Alcuni amici e conoscenti mi hanno chiesto perché fossi così sicuro che la (Divina) Commedia fosse proprio il veltro indicato da Dante. Premetto che ho fatto il liceo classico, con un grande professore d’italiano, il gesuita Padre Raffaele Salimei, mi piaceva la storia e la letteratura italiana, ma poi ho scelto ingegneria affascinato a mia volta dalla architettura e dai progetti e poi dalle foto, anche in fase costruttiva, dei numerosi palazzi della Banca d’Italia, progettati e diretti da mio padre (Imperia, San Remo, Savona, La Spezia, Cremona, Viterbo, Livorno, Rieti, Civitavecchia, Ragusa, Enna e Trapani). Quindi non sono un professore di lettere, ma mi sono limitato, oltre a leggere Dante, a soffermarmi sui commenti ai versi in diverse edizioni, con diversi commentatori, a studiare alcune storie della letteratura, tra cui Francesco Flora, ma su alcuni punti controversi ho cercato semplicemente di ragionare. “Cogito ergo sum”. Allora mi sono posto il quesito di ordine generale sulla Divina Commedia: perché Dante la scrisse? L’Alighieri era un poeta già conosciuto ed apprezzato, era un importante scrittore in prosa, latina ed italiana, poteva scrivere di tutto, anche un poemetto dedicato a Beatrice, ma perché proprio nelle difficoltà dell’esilio ha posto mano al “poema sacro” che “m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso – c. XXV- v. 1-3), rischiando anche l’accusa di eresia con tutte le eventuali gravissime conseguenze?
Dante, a mio avviso, lo scrisse perché voleva adempiere ad una “missione”, e non certo solo a schivare le tre belve ed a rendere postumo omaggio a Beatrice, ed una missione è ben diversa da una “profezia”. La missione è “immediata”, contemporanea anche se il suo effetto può continuare nel tempo. Ancora oggi leggiamo testi di grandi predicatori, ed anche il semplice, ma stupendo “Cantico” di San Francesco o lettere di Santa Caterina da Siena, per cui la lettura della Divina Commedia è proseguita nei secoli ed il suo studio sono giustamente materia d’insegnamento scolastico, da quando l’Italia ha raggiunto la sua unità con il Regno d’Italia il 17 marzo 1861, e questa unità era effettivamente un vaticinio dantesco. Quindi una missione poteva anche essere svolta, ma il testo, ripeto, lo esclude, da un personaggio contemporaneo, ma di cui in quel secolo non vi è tracia e Dante era buon conoscitore degli uomini del suo tempo per pensare ad un Cangrande della Scala (1291-1329), o ad un imperatore. Pensare che fosse un personaggio di secoli dopo è di una tale illogicità, che meraviglia avere alcuni aprile scrittori in epoche successive attribuito a personalità anche importanti, e sempre italiani, il ruolo del veltro, ma di cortigiani, “vil razza dannata”, è piena la storia. Pensare alla terza età dello Spirito Santo, del “calavrese abate Gioacchino, di spirito profetico dotato” (Paradiso – c. XII. v. 140), è egualmente assurdo perché il tra “feltro e feltro” indica sempre dei fogli di carta e quindi una opera scritta. E se opera scritta doveva essere è appunto la Commedia.
Ecco perché “la sua nazion “, e la “sapientia, amore e virtute”, sono i cento canti della Divina Commedia e la sua missione contro cupidigia, corruzione, avarizia, ricchezza e potere temporale della Chiesa (questo però cessato il 20 settembre 1870) è sempre valida ed attuale.
4 aprile 2020