giovedì, Ottobre 10, 2024
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Urgente la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura

Per spezzare il circuito vizioso delle nomine su base correntizia, bisogna passare al sorteggio dei candidati. È la via più certa perché gli italiani tornino a credere nell’imparzialità dei magistrati

di Salvatore Sfrecola

Da mesi ormai giornali e televisioni ci informano quotidianamente di quel che si sapeva da anni e che l’inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia ha fatto emergere in modo drammatico. Alcuni componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) insieme ad esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) sono stati colti dalle intercettazioni mentre erano intenti ad immaginare, con uomini di partito, a chi assegnare i più importanti posti di funzione al vertice degli uffici giudiziari. Un autentico scandalo che ha sconvolto i tanti che “con disciplina ed onore”, come impone la Costituzione (art. 54) a chiunque sono affidate funzioni pubbliche, operano nei Tribunali e nelle Corti per rispondere alla richiesta di Giustizia che proviene dal popolo, da quel popolo in nome del quale sono emanate le sentenze.

Uno scandalo che può fare molto male alla Magistratura perché sull’onda delle emozioni è possibile che la politica adotti scelte frettolose, magari con l’intento di procedere ad una resa dei conti nei confronti dei giudici che decapitarono, all’epoca di Tangentopoli, i massimi partiti politici, coinvolti in un giro vorticoso e pesantissimo di mazzette.

Andiamo, dunque, per ordine, partendo dalla riforma fondamentale, visto che parliamo di nomina dei responsabili degli uffici direttivi, in particolare delle Procure, cui spetta l’esercizio dell’azione penale. Il problema, come si è visto, è quello della composizione del Consiglio Superiore, espressione della indipendenza di quell’“ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” che è la Magistratura, come si legge nell’art. 104 della Costituzione. Presieduto dal Capo dello Stato e con componenti di diritto il Primo Presidente della Corte e il Procuratore Generale della Cassazione, il Consiglio è composto per due terzi da magistrati ordinari eletti “tra gli appartenenti alle varie categorie” e per un terzo da eletti dalle Camere.

L’esperienza ci dice di una progressiva degenerazione del sistema dovuto alla elezione dei componenti togati che ha provocato il consolidamento degli interessi dei gruppi, le correnti che organizzano il consenso all’interno della magistratura e non svolgono solamente un ruolo “culturale” sui temi della giustizia. Influiscono sulla scelta dei componenti togati del CSM i quali, in quella sede, decidono su promozioni e assegnazioni e sull’esercizio dell’azione disciplinare. Insomma, esercitano un potere rilevante che dai gruppi si trasferisce nel CSM e da questo torna ai gruppi in forma di scelte. Accade così che un magistrato il quale si candida ad un posto direttivo, Presidente di Tribunale o di Corte d’appello, Procuratore della Repubblica o Procuratore Generale, ha speranza di veder accolta la propria istanza solamente se appoggiato da un gruppo che conta autorevoli rappresentanti nel CSM.

Tra i primi a criticare questo sistema Piercamillo Davigo, all’atto del suo insediamento nel ruolo di Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Non va bene, disse, perché introduce elementi personalistici che nulla hanno a che fare con scelte che dovrebbero essere guidate da una obiettiva valutazione della specifica professionalità ed esperienza in relazione all’esercizio di una determinata funzione.

Le correnti della Magistratura, tuttavia, non ci stanno. Negano che la loro influenza nel CSM ne condizioni le scelte. Il tema è antico ma in questa stagione la polemica si è aggravata e la lotta “di potere”, un’espressione che dovrebbe essere bandita quando si parla di Giustizia, è diventata ancora più esasperata da quando l’improvvida decisione di Matteo Renzi di disporre con legge pensionamenti anticipati, presentati come un ampio “ricambio generazionale”, che non c’è stato e non c’è, ha scatenato la lotta per l’assegnazione dei posti di vertice di gran parte degli uffici giudiziari.

Nella gestione delle nomine, come ha dimostrato l’inchiesta di Perugia, per ottenere un posto di responsabilità e di prestigio, il candidato deve avere il gradimento delle due componenti. Ed è inevitabile che i curricula dei partecipanti alle procedure siano esaminati almeno sotto due profili, uno per qualche verso “politico”, come emerge dalle critiche di Matteo Salvini ad alcuni giudici che a lui sono apparsi ideologicamente qualificati, l’altro dell’appartenenza ad una determinata corrente dell’ANM. Fuori di questa logica non c’è spazio. Clamoroso il caso di Giovanni Falcone che, nonostante l’esperienza che vantava nella lotta alla mafia, fu superato nell’attribuzione del posto di capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo da un collega, certamente più anziano, ma con una esperienza che forse sarebbe stato meglio utilizzare altrove.

Una soluzione s’impone, dunque, rapidamente per restituire serenità alla Magistratura con una modifica incisiva della composizione degli organi di autogoverno. Ma serve una modifica della Costituzione che prevede l’elezione (art. 104). La soluzione è una sola, quella di prevedere che i componenti togati siano scelti sulla base di un sorteggio tra tutti i magistrati in servizio, tenendo conto di anzianità e funzioni svolte, in modo da assicurare all’organo di autogoverno esperienze e professionalità diverse capaci di una equilibrata valutazione delle candidature ai vari posti di funzione. Ci sarà sempre la possibilità che un magistrato sorteggiato nel CSM possa essere “sensibile” alle aspettative del collega di concorso o che ha condiviso con lui qualche esperienza professionale. Ma non ci sarà più una scelta per motivi di appartenenza correntizia a tutti i costi, anche quando sia evidente che il candidato non ha i requisiti per ricoprire il ruolo per il quale concorre.

Sullo sfondo di questa vicenda, sulla quale il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha fatto sapere che, nel corso della settimana, porterà in Consiglio dei ministri una proposta, vanno emergendo negli ambienti politici ulteriori ipotesi di riforma, di quelle da tempo tenute nel cassetto, come quella della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, della sottoposizione di questi alle direttive del Governo, della eliminazione della obbligatorietà dell’azione penale. Se ne parla da tempo con opposte valutazioni, ma il pericolo è di riforme, come spesso accade in Italia, adottate frettolosamente, magari per farne motivo di baratto con altre riforme.

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