di Salvatore Sfrecola
Non me ne vorranno i miei lettori se, nel secolo di internet, di Facebook, Messenger, WhatsApp, Telegram ed Instagram, per non citare che i “social” più consueti, ricordo ancora una volta Giulio Andreotti ed i suoi biglietti di auguri rigorosamente vergati a mano, inseriti in una busta, anch’essa scritta a mano, nonostante lungo tutta la vita politica e ministeriale avesse avuto robuste segreterie che avrebbero potuto predisporre la busta con l’indirizzo del destinatario, scritto a macchina o utilizzando una targhetta di quelle memorizzate nel computer. Era un gesto di considerazione e rispetto che quell’accorto politico riservava alle persone che stimava e alle quali voleva far sentire la propria vicinanza, spesso aggiungendo agli auguri un riferimento personale ai più recenti incontri, ad una collaborazione, ad un parente. Ma era anche l’attenzione per le tante persone che aveva incontrato nella sua vita politica e ministeriale e che accuratamente conservava nella sua rubrica.
Mi torna a mente questo approccio di Andreotti agli auguri di fine anno per proporre a chi legge alcune considerazioni sulla base dell’esperienza personale e di quanto ho letto in questi giorni di auguri, ricevuti e inviati in vario modo: di persona, quando è stato possibile, per telefono, con scambi di mail e di messaggi sui vari strumenti offerti dal progresso informatico che ho ricordato iniziando. Non se ne può fare a meno, per raggiungere il massimo numero degli amici e dei conoscenti, anche i più lontani personalizzando le parole e gli aggettivi che esprimono simpatia, stima, affetto. Messaggi che non possono essere tutti uguali, che non debbono essere tutti uguali.
Quest’anno ho notato qualcosa di nuovo e di più, dovuto al progresso tecnologico e all’esperienza di ognuno. Ad esempio, che alle parole molti hanno aggiunto o sostituito delle belle foto con soggetto natalizio, immagini di carattere religioso che ricordano il Natale, alcune accompagnate da filmati allegri nei quali abbondano presepi ed alberi di Natale variamente addobbati, con sottofondo di musiche belle, come le tradizionali che ci accompagnano da bambino e che ascoltiamo sempre volentieri, melodie che costituiscono elementi imprescindibili della tradizione cristiana, che creano un’atmosfera di serenità. L’occasione ha suggerito anche battute e immagini spiritose riferite alle realtà del momento, come quelle collegate alla chiusura imposta dal governo per le giornate nelle quali il blocco è più rigido (in zona “rossa”) e così abbiamo letto che i Re Magi, diretti alla Grotta di Betlemme, tenendo conto delle chiusure, dicono “abbiamo risolto! vengono da noi Maria, Giuseppe e il Minore. Noi poi andremo il 10 gennaio”.
Ho foto di presepi grandi e piccoli, di alberi di Natale coloratissimi, in contesti nei quali una persona e la sua famiglia dicono con le parole e con il sorriso ad amici e conoscenti che è festa e si vuole renderli partecipi della serenità del Natale e dell’aspettativa di un 2021 migliore, e dire che si è loro vicini, che gli si vuole bene.
Tuttavia, non sono mancate espressioni che non posso condividere, al di là del ricordo della persona che ce le invia, che va sicuramente apprezzato: come nel caso delle immagini con tanti auguri standard, senza aggiungere una parola, senza il nome del destinatario.
Anche io ho usato Facebook, dove ho “postato”, come si dice, un augurio a tutti gli amici, o Whatsapp per inviare auguri personalizzati e per rispondere, ricorrendo sempre ad espressioni di saluto e di augurio non solo con il nome del destinatario ma anche con qualche ulteriore riferimento, personale o familiare. Mi sono posto il problema: è vero raggiungo più persone di quelle che raggiungerei scrivendo un biglietto secondo l’insegnamento di Giulio Andreotti e questo è importante perché gli strumenti dell’informatica ci offrono possibilità che prima non avevamo. Però dobbiamo evitare di attribuire un eccessivo formalismo a questa occasione che può dare il senso della freddezza, che può scadere nella cafonaggine, come quella di coloro che utilizzano un biglietto prestampato perfino nella firma. Quando ho sospettato che non fosse autentica sono andato sullo scritto con l’indice inumidito e quando era evidente che la firma non era originale ho immediatamente cancellato la persona. Lo feci notare al segretario di un ministro. Mi rispose che ne inviava migliaia. Gli risposi che non era una giustificazione, soprattutto per lui che non firmava per esteso ma con una sigla che anche un collaboratore avrebbe potuto imitare. Anche Andreotti ne scriveva un numero rilevante, ma riteneva di doverlo fare personalmente.
Credo, dunque, che se oggi non possiamo fare a meno di ricorrere agli strumenti offerti dal progresso informatico per ricordare gli amici e per ricordarci degli amici è bene ancora che ad un numero possibile di persone si faccia pervenire un biglietto personalizzato con una parola che ad altri non useresti, mai ricorrenti perché il destinatario senta che per me quello è un particolare rapporto di amicizia o di affetto.
Chiudo con qualche riferimento più recente a scambi di auguri o “brindisi” su piattaforme varie in ambienti che frequento, come una “conviviale” del mio club Rotary o altri originati da amici o da politici che, in qualche modo, hanno voluto favorire un saluto guardandoci in faccia, sia pure attraverso lo schermo del computer.
Sono stato favorevole, fin dalle prime esperienze, a questo modo di incontrarci e che, se, da un lato, sostituisce in questo periodo, che mi auguro termini presto, gli impossibili incontri “in presenza”, dall’altro amplia la possibilità di intrattenere relazioni con persone distanti che, in ogni caso, non sarebbe possibile incontrare di persona perché lontani in Italia o addirittura all’estero. Questa esperienza entra prepotentemente nelle nostre vite, perché non sarà più possibile trascurare le occasioni che ci sono offerte dalla presentazione di un libro, dal commento di una legge o di una sentenza, dal confronto su un tema di attualità, che potrà essere organizzato in poco tempo con persone che sarà difficile si astengono dal partecipare perché un’ora, il pomeriggio o la sera, la si trova sempre, anche per il più impegnato per il quale, invece, spostarsi, sia pure per un giorno, per partecipare ad un evento può costituire un problema, anche se concordato da tempo, anzi proprio il tempo a volte è nemico di queste iniziative perché un impegno sopravvenuto costituisce spesso un ostacolo insormontabile.