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L’Agenzia delle entrate abbandona le regole tradizionali della prova scritta selettiva per aiutare i propri dipendenti

di SALVATORE SFRECOLA

All’Agenzia delle entrate continua la gestione assolutamente “originale” nel reclutamento del personale. E così, manco a dirlo, si sono perse, strada facendo, le regole “consuete” delle procedure concorsuali. Consuete in quanto, da sempre, la prova scritta è stata selettiva, nel senso che, se non viene superata, il candidato non è ammesso al colloquio. E, infatti, nel bando emanato dall’allora Direttore dell’Agenzia, Antonino Maggiore, un Generale della Guardia di Finanza abituato a rispettare le leggi: “alla valutazione della prova scritta – si legge – è attribuito un massimo di 15 punti. Alle fasi successive si è ammessi con un minimo di 8 punti”. Insomma, chi prende meno di 8 punti non va all’orale.

Troppo difficile? Niente paura. Si cambiano le regole. Si prevede “un colloquio, integrato anche da una prova scritta di carattere tecnico-professionale … Tale prova sarà incentrata sulla simulazione di un caso pratico per verificare la capacità del candidato di risolvere problematiche operative e di applicare le conoscenze tecniche possedute al caso concreto”. La prova scritta “potrà svolgersi il giorno stesso del colloquio ad integrazione dello stesso”. Quindi una prova di ridotto profilo, ad onta dell’enfatizzato riferimento alla finalità di “testare la capacità del candidato di argomentare in modo logico e coerente rispetto al caso concreto prospettato”. Non potrà, dunque, essere una prova scritta di quelle che abbiamo sostenuto noi all’ingresso in carriera, quando ci assegnavano sei o otto ore, proprio perché si doveva “argomentare”. E ci valutavano anche per l’italiano.

La prova comunque, “costituirà oggetto di approfondimento nel corso del colloquio e rientrerà nella valutazione complessiva del candidato”, per tener conto “in un quadro d’insieme, sia dello spessore del percorso professionale e dei titoli di studio del candidato sia della consapevolezza delle responsabilità e delle criticità legate al ruolo anche riguardo all’orizzonte temporale ad esso correlato”.

Insomma significa che il candidato, anche se fa errori di grammatica o di ortografia, potrà passare la selezione perché nel colloquio si troverà sempre qualcosa che consente di valutare “la preparazione tecnica dei funzionari, le caratteristiche attitudinali, le motivazioni, le esperienze professionali, i risultati ottenuti e le eventuali valutazioni conseguite, analizzando distintamente tre diverse dimensioni della performance richiesta: a) capacità di presidio tecnico delle funzioni da ricoprire; b) conoscenza pratica delle attività, delle responsabilità e degli aspetti gestionali legati al tipo di incarico; c) competenze organizzative”.

Non finisce qui. Il personale interno, nella gestione Ruffini, è privilegiato oltre ogni logica. Infatti, mentre alla procedura selettiva “non possono partecipare i dipendenti di altre amministrazioni comandati presso l’agenzia”, sono ammessi i dipendenti di ruolo dell’Agenzia, anche in comando presso altre amministrazioni, con almeno cinque anni di inquadramento nella terza area e in possesso della laurea. Ai quali, ai fini del requisito temporale “sono conteggiati anche i periodi di servizio svolti alle dipendenze di altre amministrazioni pubbliche in posizioni giuridiche corrispondenti alla terza area”.

Manca poco che portino loro il decreto di nomina a casa in un elegante cofanetto. Naturalmente potranno essere tutti bravissimi coloro che superano la selezione e vengono inquadrati in posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata professionalità. Me lo auguro vivamente per spirito patriottico, ma è certo che non è questo il metodo più logico per individuare i migliori, anche per aver limitato la partecipazione alla procedura ai soli interni.

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