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La questua tra i senatori a vita. Un altro motivo per abolirli

di Salvatore Sfrecola

Nella conta, imbarazzante, dei possibili acquisti dell’ultima ora, tra transfughi, voltagabbana, responsabili e costruttori, il Presidente del Consiglio sembra speri di poter includere i Senatori “a vita”. È successo altre volte che venissero in soccorso del governo di turno. Ed ha sempre destato sconcerto. Si tratta, infatti, a parte gli ex Presidenti della Repubblica, uomini “di parte” a tutti gli effetti, di personalità che, come si legge nell’art. 59, comma 2, della Costituzione, hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario”. La formula, che ricalca quella della categoria 20^ dell’art. 33 dello Statuto Albertino (“Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrato la patria”) si deve all’On. Antonio Alberti, avvocato veronese, costituente democristiano, il quale, nel replicare a quanti si erano detti contrari all’iniziativa, aveva sostenuto che la ragione pratica del suo emendamento consisteva nell’assicurare “ai sommi, ai geni tutelari della patria, una tribuna che essi non hanno”. Aggiungendo che i senatori di diritto, dato il loro numero esiguo, “non potranno mai spostare il centro di gravità di una situazione politica al Senato”.

Non è stato buon profeta il padre dei senatori a vita, perché, scelti da un politico (il Presidente della Repubblica) con criteri politici, come politici finiscono per comportarsi nonostante gli indubbi “altissimi meriti” che hanno giustificato la nomina. Se n’è chiesta, pertanto, più volte l’abolizione.

(da La Verità del 19 gennaio 2021)

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