giovedì, Ottobre 10, 2024
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Il Ministero per le disabilità, “senza portafoglio” ma con grandi prospettive

di Salvatore Sfrecola

A molti sarà sembrato poco più che propagandistica l’insistenza con la quale Matteo Salvini ha chiesto e ottenuto un Ministero per le disabilità. Invece, il leader leghista ha dimostrato, ancora una volta, grande umanità e uno straordinario intuito politico. Inoltre, avere indicato come responsabile del nuovo ministero Erika Stefani, una giovane senatrice con variegate esperienze parlamentari, già Ministro per gli affari regionali nel governo Conte 1, avvocato, dimostra che la Lega punta a dare corpo ad un ministero, “senza portafoglio”, ossia senza un bilancio proprio, ma con grandi possibilità, sia pure in gran parte da inventare.

Il Ministro Stefani ha di fronte la solita legislazione occasionale che, anche quando meritevole di apprezzamento, soffre di interferenze varie, di competenze disseminate tra amministrazioni ed enti, ognuno dei quali è geloso custode delle procedure che gli attribuiscono una qualche competenza che è sempre arduo coordinare e ancor più ridimensionare. Ogni fetta di competenza identifica, infatti, un ufficio, una struttura che vive di quel ruolo, che spesso non è disponibile anche solo a riordinare, nel timore di perdere anche un po’ di “potere”, trascurando che l’esercizio di una funzione pubblica è, semplicemente, un servizio ai cittadini.

Serve fantasia, al di là delle sollecitazioni che il ministro riceverà dalle varie associazioni del mondo delle disabilità, che pure da anni investono sistematicamente la politica dei gravi problemi delle tante persone che soffrono condizioni di vita limitate da difficoltà varie, soprattutto motorie, ma anche psicologiche e ambientali. C’è da rimboccarsi le maniche e intervenire su competenze varie oggi di varie amministrazioni centrali e locali. Occorre, dunque, una ricognizione della normativa in vigore per coordinarla e riordinarla, semplificando gli adempimenti che attengono, ad esempio, all’accertamento delle condizioni di disabilità, da sempre circondati dal sospetto che sia un terreno nel quale sono spesso maturati abusi.

Ma la strada che darebbe una svolta, come spesso accade, è quella del fisco, attraverso la considerazione degli oneri che le persone disabili sostengono e che muovono vari settori dell’economia, assolutamente trascurati da un sistema tributario rapace e ingiusto. Penso alle deduzioni e alle detrazioni sempre sotto tiro da chi vorrebbe recuperare gettito, che consentirebbe di sgravare le persone con disabilità contestualmente facendo emergere redditi ignoti al fisco. Penso soprattutto agli ausili personali, spesso ad altro titolo e con diverse finalità richiamate, come nel caso dei badanti. Le sinistre, favorevoli agli ingressi indiscriminati e incontrollati nel nostro Paese, richiamano ed esaltano il ruolo dei badanti che “assistono i nostri anziani”. Mai che suggeriscano di regolamentare la materia prevedendo, ad esempio, che sia verificata la loro attitudine alla cura della persona, perché abbiano una minima preparazione professionale, tale da saper misurare la pressione, rilevare il grado di glicemia, fare una iniezione, dialogare con il medico curante per metterlo a conoscenza delle condizioni della persona e degli effetti di una terapia. Sarebbe necessario, dunque, un “patentino”, rilasciato da un ente pubblico, la Asl, la Croce Rossa Italiana, che attesti, al termine di un corso di qualche giorno, quel minimo di conoscenze che darebbe ai nostri anziani ed ai loro parenti la necessaria serenità. Avremmo così un’anagrafe dei badanti. Ma non basta. I disabili e le loro famiglie sono, a tutti gli effetti, datori di lavoro sicché è necessario che sia possibile dedurre dal reddito l’importo integrale delle paghe e dei contributi, non in misura figurativa come avviene oggi. Emergerebbe tanto lavoro nero e il fisco e l’INPS recupererebbero quote di gettito, fiscale contributivo, che attualmente ignorano. Lo Stato ne trarrebbe, sotto altro profilo, dei vantaggi in quanto molte persone ricoverate a carico di strutture pubbliche, in condizioni spesso indegne di un paese civile, potrebbero essere assistite a casa.

Il Ministro Stefani ha, dunque, molto da fare ed è augurabile che, messo a punto un programma di iniziative, abbia la capacità di portarle avanti con determinazione.

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