martedì, Ottobre 15, 2024
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Sperpero di denaro pubblico sempre più spesso all’attenzione del giudice penale dopo che il Governo Conte ha escluso, sia pure a tempo, che la Corte dei conti possa giudicare gli illeciti fonte di danno erariale

di Salvatore Sfrecola

Chi ha chiesto e ottenuto dal potere politico di eliminare, sia pure a tempo ma per un tempo lungo, sostanzialmente corrispondente alla durata dell’emergenza sanitaria e della gestione del PNRR, che fosse eliminata la responsabilità erariale per colpa grave impedendo alla Corte dei conti di agire forse ha fatto un errore. Agli occhi dei cittadini, in primo luogo, che leggono quotidianamente sui giornali di spese inutili o eccessive, con effetti negativi sulla credibilità della classe politica perché quella norma, voluta dal Governo presieduto da Giuseppe Conte è stata conservata dal Governo di Mario Draghi, nonostante il Presidente del Consiglio abbia, tra i primi atti, fatto visita alla sede centrale della Corte dei conti ed indirizzato ai magistrati contabili parole di grande apprezzamento in un discorso nel quale aveva finanche citato Cavour ed il ruolo dei giudici contabili garanti della legalità e custodi del pubblico denaro.

Invece, quella norma del decreto Conte, n. 76 del 2020, certamente ignobile perché protegge chi sperpera pubblico denaro, cioè denaro dei cittadini, è stata mantenuta e prorogata nella sua durata nel silenzio assoluto dei politici che si riempiono la bocca di riferimenti alle regole dello stato di diritto quando devono criticare l’Ungheria o la Polonia, a volte certamente a ragione, ma non hanno mosso un dito per denunciare l’assurdità di uno Stato che, in presenza di una spesa inutile o eccessiva, non ne chieda conto a chi ha prodotto quella lesione alla finanza pubblica. Non un danno qualunque, ovviamente, ma un danno provocato con colpa grave che è la condizione soggettiva di colui che ha operato con straordinaria negligenza o imperizia.

Ho detto che l’aver voluto quella norma che taglia fuori la Corte dei conti, il giudice naturale dei danni all’erario come sta scritto in Costituzione, non esclude che lo Stato danneggiato possa rivalersi sul funzionario incapace o infedele è stato un errore delle lobby che operano nel settore degli appalti di servizi, lavori e forniture. Perché lo Stato potrà iniziare un’azione civile risarcitoria, anche se è difficile che accada perché quella classe politica che ha alzato le braccia dinanzi ai malversatori del denaro pubblico impedendo alla Corte dei conti di intervenire difficilmente si rivolgerebbe al giudice civile. Ma poiché, secondo un antico adagio popolare “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, sappiamo dai giornali che su molte questioni che attengono a spese inutili o superiori al dovuto, come nel caso dell’acquisto di mascherine o dei banchi a rotelle, sta indagando il giudice penale. Sicché, con la richiesta di rinvio a giudizio per un reato contro la pubblica amministrazione, peculato o corruzione, lo Stato, cioè la Presidenza del Consiglio dei ministri, non potrà fare a meno di costituirsi parte civile per il tramite dell’Avvocatura dello Stato. Sarebbe, infatti, inammissibile che se la Procura della Repubblica esercita l’azione penale per un fatto reato che ha prodotto anche danno al bilancio pubblico lo Stato non chieda che i conti vengano ristorati.

E qui l’errore di chi ha voluto mano libera è ancora più grande perché non ha tenuto conto che, ove il giudice penale accerti l’illecito e rimetta al giudice civile il risarcimento, questo non dispone del “potere riduttivo dell’addebito” che l’ordinamento assegna alla Corte dei conti e che si sostanzia nella possibilità che il giudice contabile, valutate le circostanze nelle quali la persona ha agito, possa porre a carico del responsabile tutto o parte del valore perduto, cioè del danno. Una valutazione che spesso ha portato a significative riduzioni, considerate le condizioni personali e organizzative nelle quali si sono svolti i fatti, così affermando una sorta di concorrente responsabilità dell’amministrazione. La norma ha una logica. È espressione del potere equitativo di un giudice che, svolgendo anche funzioni di controllo, conosce bene l’amministrazione ed è in condizione di comprendere ciò che è accaduto. Un potere, quello della riduzione, che non ha il giudice civile, né quello penale, il quale, tra l’altro, si è mostrato sempre piuttosto critico nei confronti dell’amministrazione e dei suoi operatori.

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