sabato, Luglio 27, 2024
HomeNEWSArmati per garantire pace e sviluppo (il ruolo delle Forze Armate italiane...

Armati per garantire pace e sviluppo (il ruolo delle Forze Armate italiane nel contesto internazionale)

di Salvatore Sfrecola

“Nessuno, meglio di un soldato che è stato davvero in operazione, conosce il valore della pace. Possedere Forze armate efficienti e credibili, per un Paese come l’Italia, significa avere un potere deterrente importante rispetto a Stati i cui interessi nazionali possono confliggere con i nostri o che sono caratterizzati da una elevata quanto pericolosa instabilità interna”. Così Giampiero Cannella, giornalista, scrittore, storico militare, un’esperienza parlamentare di due legislature nella Commissione Difesa della Camera, riassume i tratti salienti di questo studio sul ruolo delle Forze armate nella sfida geopolitica contemporanea (L’Italia non gioca a Risiko”, Historica Giubilei Regnani, Roma, 2021, pp 159, € 14,00), un vero e proprio ceck up del “Sistema Difesa” esaminato nella consistenza della risorsa militare, nella sua conseguente dislocazione in Italia e, come vedremo, nel mondo, nell’impegno che il bilancio dello Stato riserva alle Forze Armate. Un impegno di spesa certamente inadeguato, scrive Guido Crosetto, Presidente Aiad e già Sottosegretario alla Difesa, anche se “le Forze armate rappresentano una risorsa fondamentale, indispensabile per il sistema Paese per la funzione che svolgono, ma anche per l’apporto nel campo industriale e tecnologico” che Cannella affronta “con dovizia di informazioni all’interno del mondo della Difesa. Un mondo che oggi è quanto mai strategico in un contesto geopolitico in rapida evoluzione. Le Forze armate sono la componente complementare alla diplomazia nella tutela della nostra libertà e dei nostri interessi nazionali”.

La conferma viene dai fatti di questi giorni che ci presentano un impegnativo confronto militare tra Russia e Ucraina che, pur essendo un conflitto localizzato, ha tutte le caratteristiche di un confronto a livello mondiale tra La Russia, il suo modello politico, economico e sociale e l’Occidente variegato, l’Europa immediatamente vicino vicina alle aree dove si combatte, e gli Stati Uniti. Mentre la Cina sta a guardare.

Molto interessante la ricostruzione che Cannella fa del quadro politico nel quale si colloca lo strumento militare italiano, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale quando si sviluppa il confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, l’Italia aderisce (1949) al patto Atlantico, a difesa delle democrazie occidentali nell’ambito di uno schieramento che si oppone agli Stati che aderiscono al “Patto di Varsavia”, alleanza militare sotto il rigido controllo di Mosca.

È la stagione della “Guerra fredda” nel quale – scrive Cannella – “l’equilibrio fra i due blocchi e il mantenimento della pace poggiano paradossalmente sulla paura dell’olocausto atomico. Il concetto di deterrenza per mezzo della “dissuasione nucleare” è il fulcro che impedisce il first strike da parte di uno dei due concorrenti contendenti. L’Alleanza atlantica, forte della superiorità tecnologica raggiunta, basa la sua difesa sulla dottrina della “rappresaglia massiccia”. In sostanza, in caso di attacco nemico, anche convenzionale, a qualsiasi Paese della NATO, la risposta automatica prevede un’offensiva con armi atomiche contro target predefiniti, selezionati tra basi militari, città e insediamenti industriali sovietici”. Cambiate le condizioni del quadro della sicurezza, soprattutto in ragione della disponibilità sovietica di vettori nucleari la dottrina della NATO assume le connotazioni della “risposta flessibile”, con diversi gradi crescenti di intensità in risposta ad un attacco da Est, “con l’impiego di armi convenzionali in caso di offensiva limitata, seguito dall’utilizzo di armi nucleari tattiche su obiettivi militari di teatro e, solo come extrema ratio l’uso massiccio di missili balistici intercontinentali da lanciare contro il territorio russo”. La prima fase sembra molto simile a quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni in Ucraina, dove la risposta convenzionale delle Forze Armate di quel paese, invaso dalle armate russe, si basa su armi convenzionali via via più potenti, mentre da Mosca giungono minacce di ricorrere all’opzione nucleare s’immagina di carattere tattico.

Le Forze Armate italiane si ricostruiscono gradualmente, inizialmente con materiali ed armi fornite dagli Stati Uniti e con il contributo economico di quel paese che consente alla Difesa di investire, tra il 1946 e il 1954, più di mille miliardi di lire. L’Italia potenzia le strutture militari del nord-est, un avamposto nei confronti della possibile invasione del nemico straniero la Russia, magari attraverso la Jugoslavia.

Ma c’è anche la questione di Trieste, divisa tra le zone A e B, la prima sotto il controllo del governo militare alleato, la seconda in mano agli iugoslavi. È il momento in cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Pella rompe gli indugi e mobilita dall’ottobre al dicembre 1953 un contingente di 13.000 soldati che invia al confine orientale. L’iniziativa, come sappiamo, ebbe l’effetto di ottenere il ritorno del capoluogo giuliano all’Italia.

Il nuovo esercito aumenta i propri effettivi fino a raggiungere la forza di 240 uomini in gran parte dislocati nel Nord Est. Sono gli anni nei quali vengono costituite tre divisioni corazzate, “Ariete”, “Centauro” e “Pozzuolo del Friuli”, e 10 divisioni di fanteria “Cremona”, “Legnano”, “Folgore”, “Mantova”, “Trieste”, “Friuli” “Granatieri di Sardegna”, “Pinerolo”, “Avellino”, “Aosta”, e 5 Brigate alpine “Julia”, “Orobica”, “Taurinense”, “Tridentina” “Cadore”. L’equipaggiamento è nuovo, nuove le armi individuali, nuovi i carri, nuovo il dispositivo aereo, nuova la struttura della Marina che si avvierà verso una sempre più ampia configurazione, tenendo conto dell’importanza strategica dell’Italia nel Mediterraneo.

Contestualmente va sottolineato, richiamando quanto aveva formato oggetto di considerazioni da parte di Guidi Crosetto nella Prefazione, l’apporto della Difesa all’industria italiana, sia nel settore aeronautico che navale. Nel primo basta ricordare il G91, prodotto dalla FIAT, che sarà utilizzato anche dalle Frecce Tricolore. Quanto alla Marina, presto saranno impegnati i cantieri nazionali, un prezioso apporto alla industria cantieristica italiana che sarà interessata da commesse da alcuni stati stranieri di unità di vario tonnellaggio.

Contestualmente lentamente si prospetta un nuovo ruolo per le forze armate italiane. È il 1982 quando i bersaglieri del battaglione “Governolo” sbarcano a Beirut per assicurare condizioni di sicurezza alla popolazione palestinese in Libano dopo l’accordo con Israele conseguente all’esito dell’operazione offensiva “Pace in Galilea”. Inizia questa esperienza che si andrà ampliando nel tempo con operazioni di peace-keeping di peace-enforcing che vedranno reparti italiani dislocati in varie parti del mondo nelle aree sensibili, dove la comunità internazionale ritiene necessario il consolidamento della pace a volte anche attraverso il distanziamento dei contendenti.

In questo contesto le unità italiane si faranno valere per professionalità per la capacità di intrattenere con le popolazioni locali rapporti che appartengono alla nostra cultura e alla nostra civiltà. Il 1989 cade il muro di Berlino e cambia la configurazione dell’assetto militare italiano che diventa sempre più tecnologico. Ciò che richiede un duplice intervento sul numero dei militari, per cui si sospende la leva obbligatoria trasformando l’esercito in un esercito professionale di militari ben formati addestrati e armati adeguatamente, anche con mezzi di protezione e di trasporto logistici, elicotteri, con il necessario appoggio aereo.

Sono interventi molto apprezzati, tanto che è espressamente richiesto l’intervento di questo o di quel reparto che già si è fatto onore. Come i carabinieri del “Tuscania”, i fucilieri del “Col Moschin”, la brigata “Sassari”.

Di estremo interesse e di una grande attualità il capitolo sugli interessi geostrategici della difesa italiana nel quale Cannella analizza il nuovo quadro che presenta “scenari di rischio inediti per il nostro Paese, dovuti al concomitante profilarsi di una pluralità di minacce potenziali che includono, oltre a quelle tradizionali, possibili azioni attuate da forze ostili, in grado di combinare capacità convenzionali con tecnologie innovative, nell’ambito della cosiddetta “minaccia ibrida”. Con questa espressione, secondo la definizione contenuta nel ‘Documento di Integrazione concettuale delle Linee programmatiche’ si intende ‘la minaccia complessa che prevede l’uso centralizzato, controllato e combinato di tattiche nascoste e non, nonché di vari tools strategici da parte di attori militari e non, in maniera convenzionale e/o irregolare; può includere: cyber attack, information operations, pressione economica, distruzione di approvvigionamenti energetici ed appropriazione di infrastrutture critiche’”.

Il volume è ricco di informazioni, relativamente alle condizioni politiche e strategiche di alcune aree del Mediterraneo e dell’Africa anche in rapporto alla minaccia islamica, tutte situazioni messe a confronto con le condizioni economiche commerciali che interessano il nostro paese.

Speciale attenzione è riservata agli impegni della difesa in rapporto alle risorse di bilancio che fa emergere problemi non indifferenti, di adeguatezza degli stanziamenti in relazione ai molteplici incarichi delle Forze Armate. Da ultimo è stata sotto gli occhi di tutti l’operazione guidata dal generale Figliuolo nella emergenza pandemica che ha dato luogo alla distribuzione dei vaccini in tutta Italia. E questo ci porta a considerare un argomento che solitamente è trascurato, non dall’autore del libro ovviamente, ma dall’opinione pubblica. Quello dell’impegno delle Forze Armate, ad esempio del genio militare, in occasione di calamità naturali, per la prontezza dell’intervento, per la qualità professionale degli addetti, per la disponibilità delle attrezzature tecniche necessarie agli interventi.

Il libro analizza anche gli uomini e i mezzi impiegati nelle operazioni all’estero che costituiscono una interessantissima analisi dello stato del dispositivo militare italiano.

Molto stimolante il capitolo “Per la difesa italiana nuovi impegni, vizi antichi” che dà un quadro dell’attuale contesto politico a livello internazionale. “Pur senza scomodare Papa Bergoglio – scrive Cammella – che un paio di anni affermo che “la terza guerra mondiale è già iniziata”, è di tutta evidenza che i conflitti di natura religiosa ed etnica, che emergono sempre più frequentemente dalle trame di un quadro complessivo scomposto e multipolare, e la competizione politica ed economica per il possesso alla gestione delle risorse (a partire dalle materie prime per finire all’acqua) costituiscono elementi più che sufficienti a mantenere il mondo in uno stato di costante conflitto”.

Il libro si avvale anche di un glossario molto interessante e di un capitolo conclusivo che riprende le fila della complessa e articolata narrazione riprendendo alcune considerazioni sulle ragioni di fondo di uno strumento militare. “Possedere Forze armate efficienti e credibili, per un paese come l’Italia – sottolinea Cannella – , significa avere un potere deterrente importante rispetto a Stati i cui interessi nazionali possono confliggere con i nostri o che sono caratterizzati da una elevata quanto pericolosa instabilità interna.

Uno strumento militare all’altezza della situazione blocca sul nascere anche un’eventuale corsa al riarmo da parte di entità statuali potenzialmente ostili. Eppure, questi concetti sembrano trovare difficoltà ad essere compresi, e l’autorità politica, abdicando al suo ruolo di leadership, spesso ha seguito l’onda della demagogia, facendo accumulare notevoli ritardi in un settore strategico come quello della Difesa”.

Insomma, l’Italia ha rinunciato al ruolo nel Mediterraneo che le competerebbe per la sua posizione geografica, per la sua storia, per i rapporti che nel corso del tempo ha intrattenuto con gli altri attori dell’area e che potrebbero riconoscerle una funzione di guida dei processi di pace e di sviluppo di interesse per le popolazioni rivierasche.

Un bel libro, dunque, interessante per l’argomento e per la compiutezza dell’informazione fornita nel dettaglio più rilevante con linguaggio estremamente chiaro.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Most Popular

Recent Comments

Gianluigi Biagioni Gazzoli on Turiamoci il naso e andiamo a votare
Michele D'Elia on La Domenica del Direttore
Michele D'Elia on Se Calenda ha un piano B