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Si fa ma non si dice (l’occupazione del potere da parte dei partiti)

di Salvatore Sfrecola

L’occupazione dei posti chiave dei ministeri, attraverso lo spoil system e le nomine fiduciarie di dirigenti di prima e di seconda fascia, cui i ministri ricorrono utilizzando lo strumento offerto dall’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 avviene da anni in silenzio e senza clamore, quasi senza polemiche. Gli esclusi, infatti, stanno al gioco, sperando in un altro giro. La sinistra al governo ha mostrato di saper utilizzare questi strumenti, da consumati gestori del potere. Come del resto aveva fatto anche Forza Italia, immettendo nei ruoli dirigenti di fiducia, molti provenienti dal privato anche se privi di conoscenze di leggi e regolamenti e degli ambienti nei quali avrebbero operato, spesso con l’arroganza tipica di chi è portato dalla politica. Anzi, va ricordato, che il Ministro della pubblica amministrazione del governo Draghi, Renato Brunetta, enfatizzando le esigenze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si è fatto promotore di un incremento della quota di nomine riservate ai ministri.

Ancora senza clamore. Non sanno tacere, invece, alcuni esponenti dell’attuale maggioranza, intervenuti a gamba tesa per dire che avrebbero cambiato qua e là dirigenti sospetti di essere legati ad ideologie diverse da quelle della maggioranza, un ricambio ritenuto necessario per portare avanti il programma di governo. Così dando occasione ad alcuni, ad esempio al Professore Sabino Cassese, amministrativista illustre, già Giudice costituzionale ed editorialista infaticabile, di sottolineare che, in realtà, i pubblici dipendenti sono “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.) e, pertanto, tenuti ad eseguire le disposizioni dei ministri di qualunque partito essi siano. Di più, il professore si è detto contrario da trent’anni alla legge Bassanini, convinto che “è stata un errore e andava abrogata”. Una legge sbagliata, ha aggiunto, in quanto “l’accesso non avviene tramite concorso o esame comparativo aperto a tutti e il principio di imparzialità, che dovrebbe ispirare la pubblica amministrazione, viene di conseguenza meno”

Se ne devono dedurre due regole. La prima che non c’è sempre bisogno di partire lancia in resta con squilli di trombe e rullo di tamburi in modo da svegliare il cane che dorme e sviluppare una polemica non opportuna, capace solo di dar fiato ad una opposizione al momento alle corde.

La seconda regola, che non avrebbe sollevato nessuna obiezione, attiene alla costituzione degli uffici di “diretta collaborazione” dei ministri, quelli diretti dai Capi di gabinetto attraverso i quali ministri attuano una scelta assolutamente discrezionale. Sta di fatto che, preoccupati di quali dirigenti nominare al posto di quelli da sostituire, se ritenuti contrari alla linea politica del governo, alcuni ministri  non hanno avuto la stessa accortezza nello scegliere i Capi di gabinetto e così, forse convinti che fosse meglio ricorrere all’“usato sicuro”, hanno lasciato al loro posto, a volte soltanto prendendolo da un altro ministero, quanti avevano collaborato con ministri di sinistra. Un errore già pagato caro in passato. Considerato che, pur fedeli al Governo, è molto probabile che questi collaboratori non siano portatori di quell’entusiasmo per il nuovo che i ministri si attendono.

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