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In vista del 25 aprile. Attualità di un’intervista a “Il Giorno” del 24 aprile 2009 del Preside D’Elia, raccolta da Giorgio Guaiti

“Nei libri di scuola si va da un estremo all’altro: da quelli che liquidano tutta la Resistenza e la nascita della Repubblica in poche righe a quelli che si lanciano in sproloqui politici che non hanno nulla a che fare con la cronaca dei fatti”.

Michele d’elia è stato presidente della Provincia nel 1992, unico esponente del PLI ad assumere la responsabilità di un ente locale milanese. Ma è anche preside, docente e autore di un manuale di Storia per le medie.

Professore, lei da presidente da esponente del Pli, il 25 Aprile del ‘92 come si è comportato?

“Ho partecipato a tutte le celebrazioni ufficiali, in rappresentanza della Provincia. Ho anche parlato: un breve discorso per ricordare che a fare la Resistenza non erano stati solo i partigiani con il fazzoletto rosso, ma tante altre formazioni, a partire da quelle autonome liberali, ma, soprattutto, dal ricostituito Regio Esercito, che partì per primo da Lecce. Anzi ci furono molti soldati ufficiali che stavano al nord, ma hanno scelto di attraversare le linee per risalire con l’Esercito, accogliendo giovani di tutte le classi sociali. Secondo le direttive del governo di Brindisi…”

Dopo la fuga del Re e della Corte…

“Su questo argomento è interessante quello che ha scritto Lucio Villari, storico di sinistra, sull’Unità: “se il re non avesse arrestato Mussolini, la tragedia dell’Italia sarebbe stata di dimensioni gigantesche”. E ancora: “il comportamento del Re del governo salvarono l’Italia dal destino riservato al popolo tedesco”.

Ma lei è monarchico?

“Sì. Per scelta, non per una particolare tradizione familiare”.

Liberale e monarchico come ha affrontato il tema della Resistenza nel “Progresso storico”, il suo manuale per le medie inferiori?

“Esclusivamente in chiave di cronaca e con il maggiore distacco possibile, dando con precisione i tempi degli eventi, date e fatti. E nelle illustrazioni non ho escluso nessuno: i partigiani, reparti dell’Esercito e anche un manifesto di arruolamento della Repubblica di Salò. E lo stesso atteggiamento ho mantenuto nelle relazioni che ho tenuto ai liceali, anche nel corso dei convegni storici che organizzato nel mio liceo, il Vittorio Veneto”.

E come si studia la Resistenza al liceo?

“Sono docente di Storia e quando manca un’insegnante, a volte, vado io a fare supplenza. Così l’esperienza diretta mi dice che è un argomento affrontato in modi diversi: a “macchia di leopardo”, secondo l’interesse culturale del singolo docente. Però succede che anche chi vuole affrontare seriamente l’argomento é messo in difficoltà dai libri di testo: c’è chi liquida il periodo in poche paginette e chi si lancia in sproloqui in “politichese”. Capita di trovarsi di fronte a pagine e pagine su quanto erano nobili e generosi i partigiani, senza però dare un elemento preciso, un fatto storico, una data. Senza raccontare un’operazione militare, una battaglia. Io invece sono convinto che lo storico deve raccontare i fatti”.

Lei ha parlato di orientamento culturale del docente: culturale o politico?

“Io, da liberale, non entro nel merito dell’orientamento politico e, da preside, rispetto alla libertà di insegnamento del docente. L’importante però è che i fatti vengano esposti correttamente, raccontando quello che hanno fatto i nazifascisti e quello che hanno fatto i partigiani: nel bene e nel male. Mentre l’Esercito, non avendo coloriture politiche, credo abbia saputo svolgere il suo compito correttamente”.

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