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Il Governo intende prorogare lo “scudo” della vergogna che garantisce l’impunità ai disonesti e agli incapaci che causano danno allo Stato

di Salvatore Sfrecola

A conclusione di una nota che riferisce di un “lungo e cordiale incontro” tra i vertici della Corte dei conti e i rappresentanti del Governo si legge che “prendendo atto della contrarietà della Corte, già manifestata con gli esecutivi precedenti nel 2020 e nel 2021, sul cosiddetto ‘scudo erariale’, il Governo ribadisce la necessità della proroga fino al 30 giugno 2024, ma auspica e si impegna a un confronto con la Corte per l’elaborazione di una disciplina più aggiornata e stabile”.

In proposito, in una nota (ITALPRESS), l’Associazione magistrati della Corte dei conti continua a esprimere preoccupazione per la decisione del Governo di “protrarre l’esclusione della responsabilità perché colpa grave commissiva pone rilevanti dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la normativa eurounitaria e genera un clima di deresponsabilizzazione, che non rafforza, ma depotenzia, l’efficacia dell’azione amministrativa”.

Fuori del linguaggio ufficiale diciamo subito che lo “scudo erariale”, come viene definita la norma che esclude la risarcibilità del danno causato con colpa grave allo Stato o ad un ente da un pubblico amministratore o dipendente è una vergogna, perché assicura impunità a incapaci o disonesti.

La disposizione è stata per la prima volta inserita nel decreto legge n. 76 del 2020 il quale all’art. 21, comma 2, dispone che “limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021 (prorogato al 2023, n.d.A.), la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”.

In parole povere risponde del danno solamente chi dolosamente, cioè intenzionalmente, produce un danno. Lo vedete l’amministratore pubblico che emana un provvedimento con l’intenzione che ne derivi un danno, se non nei casi di corruzione nei quali il pubblico ufficiale riceve denaro o altra utilità (art. 318 c.p.), evidentemente per assicurare ad altri lucrosi guadagni a danno della finanza pubblica? Resta, dunque, esclusa la responsabilità in caso di “colpa grave”, altra ipotesi contenuta nell’art. 1 della legge n. 20/1994. Ora colpa grave, che per i romani “dolo aequiparatur”, che era tale quale il dolo, è l’azione caratterizzata da negligenza o imprudenza o imperizia ovvero da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, come qualifica la colpa l’art. 43 del codice penale. Naturalmente nella misura massima. Quella che i romani, che se ne intendevano, dicevano con le parole di Ulpiano “non intelligere quod omnes intellingunt”. Tradotto, non comprendere quello che tutti comprendono. 

Ora è inammissibile che un tale grado di negligenza o imperizia, capace di determinare un danno alla finanza pubblica, cioè a bilanci alimentati dalle imposte pagate dai cittadini, non sia risarcito, che il pubblico amministratore o funzionario che, nell’assumere le sue funzioni ha giurato di rispettare la Costituzione e le leggi, possa impunemente trascurare questo suo dovere.

Si sente dire che la norma, che è stata varata dal Governo Conte ai tempi della pandemia, serva a rassicurare i pubblici funzionari che, timorosi dell’azione risarcitoria di competenza della Corte dei conti, si rifiuterebbero di firmare. Si chiama giornalisticamente “timore della firma” o “amministrazione difensiva”, nel senso che questi funzionari si difenderebbero rifiutando di assumere la loro responsabilità. Con la conseguenza che, invece di punirli perché disonesti o incapaci, il Governo accede alla loro richiesta di impunità e li esenta da ogni responsabilità

La norma l’ha voluta Giuseppe Conte e l’ha confermata Mario Draghi. Ci si attendeva da un Governo “di destra”, che si dice cultore della legalità, che quella norma fosse eliminata. Invece viene prorogata sia pure con la promessa, a futura memoria, di “un confronto con la Corte per l’elaborazione di una disciplina più aggiornata e stabile”.

S’intende tipizzare la colpa grave? Può essere la strada giusta. Si poteva fare in pochi giorni. Si preferisce rinviare prorogando quella irresponsabilità totale che ogni giorno sui giornali racconta di sprechi e corruzione in giro per l’Italia soprattutto nell’acquisto di beni e servizi, a cominciare dalle famose mascherine acquistate a prezzi esorbitanti o di materiali costati cifre notevoli e rimasti inutilizzati. Povera Italia, cambiano i governi, gli italiani sperano nel nuovo, ma rimangono inevitabilmente delusi.

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