giovedì, Maggio 2, 2024
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Due piccole riflessioni tra politica e musica

di Dora Liguori

Consegno agli amici che mi leggono due modeste riflessioni: una pseudo politica e l’altra musicale.

La prima riguarda il comportamento di alcuni politici (non tutti per fortuna) e l’altra le continue disgustose offese apportate all’opera lirica da determinati registi in evidente difetto di appropriate idee, appunto, registiche.

Iniziando dai politici, quando ai greci venne in mente di inventare il cosiddetto sistema democratico, essi, ritennero opportuno che i candidati esponessero nell’Agorà della Polis (piazza della città) le loro proposte di governo e, per essere più convincenti, andavano ad aprire un dialogo con il popolo presente, dialogo che continuava anche dopo le elezioni, non a caso si chiamava democrazia.

La buona abitudine greca venne ripresa da Roma e i candidati (così definiti perché, per farsi riconoscere, vestivano di bianco) andavano ad interloquire, prima e dopo elezioni, in piazze e luoghi appositi (vedi Montecitorio) con il popolo. La buona e saggia abitudine repubblicana, o meglio il “vizio” della democrazia ebbe, però, fine a Roma, con l’avvento di Augusto che, zitto zitto quatto quatto, fra un colpo di tosse e l’altro (era debole di polmoni ma campò sino a 75 anni), mostrando persino malavoglia, si fece eleggere imperatore e, di conseguenza, addio a qualsivoglia risvolto democratico di repubblicana memoria. Tra l’altro a farne le spese ci fu persino la bellissima figlia di Augusto, Giulia, che ebbe il torto di trafficare e auspicare con Juno Antonio (figlio del celebre Marco Antonio) il ripristino della Democrazia. Comunque, Augusto, tutto sommato, fu un buon “princeps”, a differenza di molti altri imperatori che lo seguirono, poiché riuscì a esercitare un buon governo a favore di tantissime delle esigenze popolari.

Fatte queste premesse e saltando i secoli, poniamo attenzione a quanto oggi, invece, avviene in Italia con certi politici.

Siamo in democrazia- almeno così ci dicono- e pertanto abbiamo facoltà di voto… sì, ma solo di voto ad una lista! Non è un segreto che, da anni, non siamo più liberi alle elezioni politiche (le più importanti) di scegliere e votare, all’interno di una coalizione partitica, il candidato che più ci piace o che magari stimiamo. Pertanto, a mo’ di pecore irregimentate, siamo costretti a dare il nostro voto (almeno finché votiamo) alla sola lista essendo l’ordine dei candidati votabili e di conseguenza dei probabili eletti stabilito, a monte, dai segretari di partito. Ne discende il fatto che, tolta l’inutile toga bianca che non dona a tutti, i futuri politici la campagna la debbono soprattutto fare presso i loro segretari di partito per ottenere i primi posti nella famosa lista, quelli che, appunto, garantiscono l’ingresso in Parlamento. Dopo di che, ottenute le garanzie, i candidati che si ritengono papabili, si premurano di avvicinare il cosiddetto popolo sovrano ovunque, persino nei mercati.

E dopo? Dopo, una volta eletti, non essendovi immediate urgenze, sempre il popolo viene (per fortuna non da tutti ma da pochi politici, i più etc etc) bellamente ignorato. Comunque, per sopperire a regole di mancata comunicazione, a volta costoro sono obbligati, durante la legislatura, ad affrontare e, bontà loro, concedersi, all’incontro con i miseri mortali in occasione di eventi culturali o convegni.

Molti politici ed esponenti di Governo, con estrema educazione, giunti sul luogo deputato, parlano e poi anche ascoltano quanto ha da dire il popolo sovrano di cui sopra; altri, invece, dopo aver espresso con un intervento benevolo (ma non sempre appropriato) alcuni argomenti legati alla circostanza, con una rapidità degna della propagazione della luce abbandonano la platea, regalando un effetto pressoché devastante. Infatti, la platea, più che ascoltare concioni con argomenti conosciuti intendeva, sempre in ricordo del concetto di democrazia ateniese, porre domande, approfondire i temi ed ottenere magari qualche risposta in merito. Altrimenti… senza dialogo, a che servirebbe l’incontro o il convegno? Come faranno questi politici a ben rappresentare il popolo se non trovano il tempo di ascoltarlo?

Un beato niente! Purtroppo certi politici, forti di quanto pensano di aver raggiunto, vivono in un mondo del tutto distaccato dai bisogni reali dei cittadini e finiscono col rappresentare solo se stessi e i loro di bisogni.

E allora, al popolo, cosa resta? Resta che essendo, il povero popolo, quasi sempre dotato di buona memoria, scelga di porsi in paziente attesa dell’approssimarsi di nuove elezioni sperando di, prima o poi, incontrare al mercato o altrove i politici fuggitivi di cui sopra. Solo allora (mi auguro civilmente) li informeranno di ciò che (detta poeticamente) da tempo pervade il loro pensiero. E se tanto mi dà tanto, la sostanza di questo pensiero sarebbe meglio non precisarla!

Seconda riflessione intorno all’opera lirica e ai “tristi” (e non certo per l’umore) registi.

Con una apparente fortuna, domenica 16 giugno, ho evitato di vedere, in televisione, l’Aida dall’Arena di Verona, poiché impegnata, per abbonamento, alla prima di Butterfly al teatro dell’Opera di Roma. E qui… mal me ne incolse poiché, come si dice, se Sparta piange Atene non ride e .… infatti ho avuto davvero poco da ridere.

Tornando all’Arena e all’Aida, fidandomi di quel che mi è stato raccontato, se esiste un aldilà, Verdi, che di pazienza ne aveva poca, avrà abbondantemente inveito e magari maledetto il giorno che ha composto una mirabile opera, la quale sarebbe stata data in pasto, da altrettanto distratti sovrintendenti, alla realizzazione di cosiddette regie definite all’avanguardia…. E di che?

Comunque, ringraziando il cielo, non avendo visto questa Aida, qui mi fermo ma… non ringrazio affatto il cielo per la Butterfly che mi sono dovuta sorbire a Roma che, tanto per cambiare, veniva “ingiustamente” attualizzata dal regista spagnolo Alex Ollé. Insomma, occorreva proprio andare a Barcellona per rovinare l’opera pucciniana, eppure di italiani in grado di operare ugualmente, sulla piazza ce ne sono e come … ! Avremmo almeno risparmiato. E di questi tempi non è poco.

Detto questo, cosa ti fa il nostro buon regista? Il tapino dimentica che il bianco in Giappone equivale al nostro nero per il lutto e fa sposare, appunto, la nostra Cio- Cio- San in bianco, davvero complimenti… in Giappone gli avrebbero subito consegnato un foglio di via. Ma… siamo in Italia, e per alcuni siamo il paese dei beoti che tutto sopporta.

Ma, le idee grandiose del nostro Ollè non si esauriscono certo con il bianco… avendoci trasportato nel duemila, con un’idea davvero grandiosa, fa indossare alla povera madame Butterfly dei bellissimi jeans, stracciati a dovere, con tanto di sbrillocchi e una maglietta ove è raffigurata la bandiera americana. Altro che Western con arrivano i nostri… io direi: attenzione arriva Butterfly, la quale invece di suicidarsi, molto opportunamente decide di sterminare i vari Pinkerton del caso. Questa sì che sarebbe una grande innovazione registica ed evito anche di ripeterla… non voglia il Cielo che me la rubino!

Potrebbe bastare? E invece no! Visto ch’era ben pagato, l’Ollè ce l’ha messa tutta a sparare fantastiche idee. Infatti, l’opera pucciniana, oltre ad essere catapultata nel duemila è stata trasferita, con ogni probabilità, anche a Roma poiché, accanto alla casa di Cio-Cio-San, stazionavano sacchi d’immondizia non raccolti con sparsi escrementi vari… mancavano solo topi e magari cinghiali in libera uscita.

Ma, signori belli, in fatto di rifiuti, mica può fare tutto il regista spagnolo… al resto ci deve pensare, e lo fa abbondantemente, il sindaco di Roma, Gualtieri!

Amen!

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