martedì, Ottobre 15, 2024
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Chi danneggia lo Stato non vuole pagare. E la politica lo asseconda

di Salvatore Sfrecola

Intervistato dal TG2 a proposito del reato di “abuso d’ufficio”, l’ex Sindaco di Roma, Ignazio Marino, si è detto favorevole alla sua abolizione, da sostituire, però, con una “sanzione amministrativa” che faccia male alle tasche del responsabile. Con queste idee il Professor Marino, medico chirurgo, dimostra ancora una volta di essere un estraneo alla politica e alla “Casta” invece fermamente convinta che il politico risponda esclusivamente al popolo elettore e non alle leggi che disciplinano la responsabilità penale e quella amministrativo-contabile in caso di “danno erariale”. E, naturalmente, la medesima esenzione deve assicurare sonni tranquilli ai collaboratori dei politici, i funzionari dello Stato e degli enti pubblici. In sostanza, come ogni partito ha la sua quota di evasori fiscali, che accuratamente protegge, ogni partito ha anche la sua aliquota di funzionari infedeli. È nei fatti.

Quando, tra alcuni anni, qualcuno, studioso di amministrazione pubblica o uno studente alle prese con una tesi di laurea, scriverà dell’evoluzione della normativa in materia di responsabilità penale e contabile si troverà ad esaminare atti normativi con i quali la “Casta”, intesa come complesso di coloro i quali si dedicano esclusivamente alla politica, qualunque sia il partito di appartenenza, di destra, di centro o di sinistra, ha stabilito che coloro che sbagliano non devono pagare. Non sembri un’affermazione azzardata la mia perché corrisponde effettivamente alla realtà, in quanto l’impunità è stata stabilita in anni nei quali, mentre i politici si rinfacciano da un partito all’altro sprechi vari di denaro pubblico e incapacità di gestione, dall’acquisto di mascherine farlocche per molti milioni di euro, alla fornitura dei ridicoli banchi a rotelle, rimasti inutilizzati e abbandonati negli scantinati delle scuole, per non dire delle opere pubbliche, collaudate e subito dopo oggetto di manutenzione straordinaria, all’acquisto di beni inutili e alle fatture per operazioni inesistenti scoperte dalla Guardia di finanza. 

Inizia con il Professor Conte il quale. con una norma inserita nel decreto-legge n. 76 del 2020, nel contesto di iniziative per la lotta al Covid-19, ha previsto che coloro che causano un danno ai bilanci dello Stato o di un ente pubblico per “colpa grave” non debbano essere giudicati dalla Corte dei conti se non in caso di condotta omissiva. Il Professor Conte era fin d’allora espressione di quel Movimento 5 Stelle, del quale oggi è leader assoluto, che è entrato in Parlamento al grido di “onestà onestà”. Veniva definito l’“avvocato del popolo”, non certo di quello che, pagando imposte e tasse, alimenta i bilanci pubblici che sopportano il “danno erariale”. Ebbene, quel decreto-legge è stato sottoscritto dal Capo dello Stato il quale ha anche promulgato la relativa legge di conversione senza nessuna osservazione sul punto, evidentemente per rispetto del Governo prima e del Parlamento poi.

Successivamente la norma che stabilisce l’impunità di cui ho detto, ipocritamente formulata come provvisoria facendo intendere che fosse collegata alle forniture richieste dall’emergenza sanitaria, è stata prorogata ancora dal Governo Conte2, dal governo Draghi, che tutti aveva illuso presentandosi alle Camere come un allievo del Conte di Cavour, e dal governo Meloni che addirittura ha previsto l’impunità permanente per i funzionari tributari nella delega fiscale, mentre il Capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, propone che questa norma diventi generale. Quindi, chiunque causi un danno allo Stato o ad un ente pubblico, regione, provincia o comune, rimarrà impunito per un privilegio della casta dei politici e dei loro attaché, un privilegio che non esiste in nessun paese del mondo, perché l’Unione Europea e l’INTOSAI, l’ente internazionale, riconosciuto dall’ONU, che indica le regole della gestione del denaro pubblico e delle responsabilità che ne conseguono, stabiliscono che le somme illegalmente erogate, come ha ricordato più volte il Procuratore Generale della Corte dei conti, Angelo Canale, che da poco ha lasciato l’incarico, devono essere recuperate.

Ora questa impunità ricade sulla responsabilità della politica la quale, mi auguro per ignoranza ma in buona fede, ritiene in questo modo di esorcizzare la cosiddetta “paura della firma”, un’idea misteriosa che si aggira fra amministrazione e politica che di fatto difende incapaci o disonesti. Così viene umiliata l’Amministrazione di coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche e le adempiono “con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.), un’Amministrazione che ha avuto momenti di eccellenza, ancora nel dopoguerra, quando, dobbiamo ricordare, in Italia sono state rapidamente ricostruite le infrastrutture pubbliche e private distrutte dal conflitto, sono state realizzate opere pubbliche importantissime, come l’Autostrada del sole, ed è stata agevolata l’intrapresa privata che ha dato luogo al cosiddetto “miracolo economico”. Sono passati pochi anni ed è progressivamente calato in molti casi, per la responsabilità soprattutto dei sindacati e della politica che hanno sempre marciato di pari passo, il livello delle professionalità e si è vista l’immissione nella pubblica amministrazione di soggetti con criteri sempre più limitativi della necessaria selezione professionale. Un tempo le prove di concorso erano rigide, l’amministrazione articolata in carriere che consentivano passaggi a seguito di promozioni e selezioni che assicuravano maggiori responsabilità a funzionari capaci i quali affrontavano con impegno le pratiche loro affidate applicandosi nello studio della legislazione e della giurisprudenza, chiedendo, quando necessario, il parere del collega più anziano o degli organi di consulenza interni o del Consiglio di Stato o proponendosi come interlocutori della Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità. L’amministrazione pubblica procedeva con apprezzata celerità. Poi le carriere sono state disarticolate, sono state introdotte fasce funzionali con distinzioni di carattere retributivo, tutti sistemi che hanno favorito passaggi a posizioni di responsabilità di gestione a molti con scarsa preparazione professionale. Del resto, sempre più modesta è la preparazione fornita dalla scuola media, di primo e di secondo grado, e dall’università che emerge in modo drammatico perfino nei concorsi in magistratura nelle cui prove scritte sono stati rilevati frequentemente errori di grammatica. Come si può pretendere che questi, incapaci di scrivere in un italiano corretto, siano esperti di diritto, di economia e delle altre discipline necessarie all’esercizio delle relative funzioni?

Ecco, dunque, che la “paura della firma” nasce dall’incapacità di alcuni di definire le pratiche di propria pertinenza, naturalmente aprendo la strada a scorrettezze anche di illeciti penali, come nei casi, che le cronache ci dicono frequenti, nei quali vengono alterate le regole dei contratti pubblici per favorire qualcuno. Cosa fa la classe politica? Come risponde a questa caduta di preparazione dei funzionari? Non favorendo i migliori o prevedendo concrete occasioni di aggiornamento professionale, ma diminuendo le garanzie per l’ente pubblico e, indirettamente, per il cittadino-contribuente, stabilendo che non debba risarcire il danno chi lo abbia causato con condotta gravemente colposa, cioè per negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

La politica non cerca di trovare compensazioni con i controlli, con la consulenza, aiutando le amministrazioni ad operare meglio ma abolisce le sanzioni, a cominciare dal reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) secondo il quale è responsabile il pubblico funzionario che, “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. In questa ultima formulazione, nella quale per configurare il reato è necessario che sia stato procurato “un ingiusto vantaggio patrimoniale”, il reato è circoscritto rispetto al testo originario al quale si riferiscono le statistiche esibite per dire che tanti sono gli inquisiti e pochi i condannati. Ed è una fattispecie che, in relazione al previsto necessario vantaggio patrimoniale, in qualche modo guarda al reato di corruzione (art. 318 c.p.) laddove è necessaria la dazione o la promessa di denaro o di “altra utilità”. Per cui qualcuno ha scritto giustamente che l’abolizione del reato potrebbe essere un boomerang perché i giudici penali probabilmente individueranno fattispecie di corruzione dove prima si limitavano all’abuso d’ufficio, da sempre considerato un “reato sentinella”, tale da individuare condotte di più grave responsabilità.

Abolito l’abuso d’ufficio, abolita la responsabilità contabile i casi sono due, o dilaga il giudice penale o i cittadini correranno ai forconi per infilzare i politici che si preoccupano di salvare degli incapaci e dei disonesti escludendo delle responsabilità che sono nella logica di ogni ordinamento e che sono previste dappertutto.

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