martedì, Ottobre 15, 2024
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Magistratura: giudici e pubblici ministeri; separare le carriere sarebbe un errore

di Salvatore Sfrecola

Come era facilmente prevedibile, lo scandalo delle “trattative” tra componenti laici e togati del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) o dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) e politici prevalentemente di area PD per l’assegnazione di posti di funzione di particolare rilievo negli uffici giudiziari, sta facendo danni gravissimi. Non solo all’immagine della Magistratura, precipitata nella graduatoria della stima degli italiani, sicché la disonestà di pochi offende la dignità dei più che operano giorno dopo giorno con dignità ed onore al servizio della legge, ma perché il dibattito sta dando la stura a proposte di riforma le più pericolose per il buon funzionamento della giustizia.

Al centro del dibattito la ricorrente proposta di separare le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. A qualcun pare una buona idea. A me non sembra e vi dico perché.

Vediamo prima di tutto la tesi della “separazione”.

La prendo pari pari da un intervento in una chat “Riforma Magistratura” cui ha dato luogo il gruppo “Lettera 150” promosso dal Prof. Giuseppe Valditara, ordinario di diritto romano nell’Università di Torino, che ha riunito docenti e professionisti (inizialmente 150, presto più che raddoppiati) per dibattere di temi istituzionali e di generale interesse. Interventi appropriati e ritenuti meritevoli di attenzione da Il Sole 24 Ore che vi ha dedicato l’apertura e dal Corriere della Sera per varie proposte.

Ed ecco una delle tesi esposte: “Il pubblico ministero non è un magistrato, ma un avvocato; non “dice” il diritto (ius dicere), ma sostiene una tesi; non esercita un’azione penale obbligatoria (con buona pace del Costituente), ma sceglie se, chi e come accusare. Dovremmo forse uscire dalle ipocrisie formali e guardare alla realtà dei fatti, traendone le debite conseguenze. Immagino delle garanzie funzionali per il pubblico ministero nel rispetto delle linee di politica giudiziaria fissate dal Ministero dell’Interno e dal Ministero della Giustizia (ed approvate dalle Camere), di modo che ci sia una responsabilità parlamentare in apicibus. Il rapporto è analogo a quello che intercorre tra il ministro e il dirigente, secondo il principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa. Se un pubblico ministero Indaga sulle veline a casa di Berlusconi piuttosto che su gravissimi reati societari o fiscali da cittadino pretendo che qualcuno risponda di come le risorse sono utilizzate. Ora il PM fa intrinsecamente politica, ma sfugge completamente al circuito rappresentativo. L’autodisciplina del CSM è una barzelletta così come la resp. civile. Gli indicatori economici non possono funzionare. La responsabilità politica è l’unica via seria, a mio avviso. Il modello del PM-Giudice è fallito, servono altre prove di ciò? Occorre avanzare una proposta dirompente sul modello del prosecutor americano. Se ci si deve arrivare gradualmente tramite la separazione delle carriere, benvenga questo primo passo. Ma intanto attuazione del 106 Cost. Sul magistrato elettivo”.

Riassumendo:

1) “Il pubblico ministero non è un magistrato, ma un avvocato; non “dice” il diritto (ius dicere), ma sostiene una tesi”.

Nel nostro ordinamento il P.M. è un magistrato, non un giudice. Infatti non “dice il diritto”.

È un magistrato, perché esercita l’azione penale nell’interesse della legge, cioè dello Stato-Ordinamento. Non è un avvocato. Non è “l’avvocato dell’accusa”, come sosteneva qualcuno. Non è un “avvocato dello Stato”, come suggerì Luigi Mazzella all’atto di insediarsi al vertice dell’Avvocatura Generale dello Stato. La sua proposta in parole povere era, via i Pubblici Ministeri magistrati. Quella funzione la svolgiamo noi. Questo dimostra un errore di prospettiva. Gli avvocati dello Stato costituiscono un ufficio della Pubblica Amministrazione, quindi dello Stato-Amministrazione. È un’altra funzione. Si comprende facilmente. Se si vuole.

2) “non esercita un’azione penale obbligatoria (con buona pace del Costituente), ma sceglie se, chi e come accusare”.

La Costituzione prevede che l’azione penale sia obbligatoria. È un aspetto de “la legge è uguale per tutti”. Il fatto che il P.M. non eserciti “sempre” l’azione penale ad ogni “notitia criminis” vuol dire che ha esaminato la denuncia, la segnalazione, l’esposto ed ha ritenuto non vi siano gli estremi per chiamare qualcuno in giudizio.

Si dice: “Se un pubblico ministero Indaga sulle veline a casa di Berlusconi piuttosto che su gravissimi reati societari o fiscali da cittadino pretendo che qualcuno risponda di come le risorse sono utilizzate. Ora il PM fa intrinsecamente politica, ma sfugge completamente al circuito rappresentativo”.

Solo se l’azione penale è obbligatoria qualcuno, il Ministro della Giustizia, il C.S.M. potrà chiedergli conto di non aver esercitato l’azione penale.

3) “Immagino delle garanzie funzionali per il pubblico ministero nel rispetto delle linee di politica giudiziaria fissate dal Ministero dell’Interno e dal Ministero della Giustizia (ed approvate dalle Camere), di modo che ci sia una responsabilità parlamentare in apicibus”.

Vogliamo un Pubblico Ministero che dipende dal potere politico? Dove la “politica giudiziaria” è fissata dal Governo? O dalla maggioranza parlamentare? Che, poi, è la stessa cosa, perché è la maggioranza parlamentare che regge il governo.

Si può, ovviamente, ma dove sarebbe l’indipendenza dell’organo che esercita l’azione penale nell’interesse della legge?

Cosa vuol dire indicare la “politica giudiziaria”? Stabilire cosa viene perseguito tra quanto previsto dal Codice penale? Lo ha già fatto Renzi prevedendo che per reati con una pena fino a cinque il P.M. possa non esercitare l’azione.

Se la maggioranza vuole escludere alcuni reali li elimina, non indica di non perseguirli. Questo è il ruolo del potere legislativo. In Francia il giudice istruttore dipende dal Ministro della Giustizia. Sapete come vanno le cose lì. Scandali nazionali non sono perseguiti.

E se leggete un po’ di storia della Magistratura, come i lavori fatti per il centenario dell’Unità d’Italia, vedrete come il potere politico ha pesantemente influito sulla indipendenza della Magistratura limitandola costantemente.

4) “Occorre avanzare una proposta dirompente sul modello del prosecutor americano. Se ci si deve arrivare gradualmente tramite la separazione delle carriere, benvenga questo primo passo. Ma intanto attuazione del 106 Cost. Sul magistrato elettivo”.

È una cultura diversa. Il giudice politico e il procuratore politico, entrambi elettivi, sono oggetto di un’ampia pubblicistica americana raccolta in numerosi film. Entrambi fanno campagna elettorale, promettono ai potenziali elettori che colpiranno questo o quel comportamento illecito. E non ci vuole molta fantasia per ritenere che omettano anche di dire. Immaginate in una realtà italiana ad indice elevato di presenza della criminalità organizzata: per essere eletti bisognerà promettere che in quegli ambienti non si indagherà. O si farà solo finta di indagare.

Benedetta ingenuità!

Senza ipocrisie la polemica verso i Pubblici Ministeri ha varie origini, dalla politica innanzitutto che non vuole essere controllata. Ricordo in un dibattito un sindaco dire: “io sono eletto dal popolo ed al popolo rispondo”. Gli fu fatto osservare che risponde ai suoi elettori per i profili di natura politica, del tipo ha costruito una palestra invece di un asilo, ma se ha violato la legge o ha costruito quella palestra a prezzo doppio rispetto al dovuto dovrà rispondere ad un giudice, per iniziativa di un P.M., penale o contabile.

C’è, poi, tutta una schiera di amanti dei telefilm alla Perry Mason e di avvocati sfigati che vedono il P.M. come il fumo negli occhi.

Tuttavia, molte critiche sulla sovraesposizione dei P.M. hanno un fondamento.

La soluzione? È semplice. Forse non serve neppure una legge ma una regola che il Consiglio Superiore della Magistratura può darsi senza sconvolgere il sistema: prevedere che l’esercizio dell’azione penale, per la delicatezza del ruolo e per l’invasività che comporta sulle persone inquisite debba essere riservata a magistrati che abbiano una esperienza ed una professionalità adeguata. Quindi mi sembrerebbe logico che l’assegnazione agli uffici del Pubblico Ministero, cioè alle Procure della Repubblica, sia riservata a coloro i quali abbiano esercitato funzioni giudicanti per un tempo congruo che abbia loro fatto percepire il senso della terzietà e dell’indipendenza propri della funzione giudicante.

Proporre riforme le quali sconvolgono completamente un sistema che ha tanti aspetti positivi e che viene gestito dalla maggioranza dei magistrati con correttezza e con grande scrupolo significa, come insegna l’esperienza, proporre al dibattito le condizioni per non risolvere problemi o per risolverli nel peggiore dei modi.

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