venerdì, Aprile 19, 2024
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Giuseppe Conte, da “avvocato degli italiani” a patrono di chi causa danno all’Erario

di Salvatore Sfrecola

Sprechi, tanti e in ogni settore, denunciati sui giornali e sui social, in particolare su Facebook. Indignano, come sempre, i cittadini, molti dei quali però non sanno che quegli sprechi, che hanno determinato un inutile aggravio dei bilanci pubblici, non saranno perseguiti quale danno erariale, cioè non potrà essere richiesto ai responsabili il risarcimento del danno.

È l’effetto dell’art. 21 del decreto legge 16 giugno 2010, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, che ha escluso possano essere perseguiti gli amministratori ed i dipendenti pubblici che abbiano causato un danno allo Stato, ad un ente pubblico locale, il comune o la regione, o ad un ente istituzionale. Insomma, non potrà essere richiesto loro il risarcimento del danno. Proposta dal governo, e condivisa dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge, la norma determina una totale impunità nei confronti di amministratori e funzionari incapaci o disonesti che contrasta con la regola costituzionale (art. 97) del “buon andamento e dell’imparzialità” della Pubblica Amministrazione, che significa conformità dell’azione amministrativa ai criteri di economicità e di efficacia e contemporaneamente rispetto delle leggi e dei procedimenti, considerato che il principio di imparzialità discende direttamente da quello di eguaglianza e serve a limitare l’arbitrarietà dell’amministrazione. Ora non è dubbio che nella fase, a tratti, concitata della ripresa economica, il Governo si sia preoccupato di semplificare molti procedimenti i quali influiscono sui tempi della realizzazione delle attività dell’amministrazione con effetti su interessi e diritti dei privati. Tuttavia, questa esigenza, che non è nuova, ma è certamente aggravata dalla fase economica che abbiamo vissuto con il blocco delle attività imprenditoriali, non ha niente a che fare con l’eliminazione della responsabilità in caso in cui il pubblico amministratore o funzionario abbia agito con negligenza, imperizia e noncuranza delle regole tali da determinare un pregiudizio erariale. Come nel caso di acquisto di beni o servizi inutili o troppo costosi o di realizzazione di opere non a regola d’arte e che quindi richiedono interventi di manutenzione che non sarebbero stati necessari se fossero state rispettate le prescrizioni contrattuali.

Si è sentito dire, alla vigilia dell’emanazione di questa norma, sollecitata anche da ambienti imprenditoriali, che, in realtà, l’eliminazione della responsabilità, perché di questo si tratta, sarebbe stata richiesta per superare la cosiddetta “paura della firma”, sindrome che si ritiene diffusa tra gli operatori delle pubbliche amministrazioni timorosi di essere chiamati a rispondere del danno provocato dalle Procure Regionali della Corte dei conti che hanno, appunto, il compito di perseguire gli illeciti fonte di danno.

Appare evidente che non c’è alcun rapporto logico tra semplificazione ed eliminazione della responsabilità e che la paura della firma deve ritenersi propria di chi non ha specifica competenza professionale perché i procedimenti amministrativi sono definiti nei dettagli e chi li rispetta non corre il rischio di vedersi attribuita una responsabilità.

Se poi, per dirla tutta, dietro questa norma c’è, in realtà, il timore dell’azione troppo zelante di alcune Procure Regionali della Corte dei conti rispetto a una fattispecie di “colpa grave”, che andrebbe “tipizzata”, scrive l’avv. Mario D’Urso, già magistrato contabile, su Facebook, allora l’Amministrazione il Governo e il Parlamento in sede di decretazione d’urgenza avrebbero dovuto semplificare realmente, ed a fondo, i procedimenti e magari offrire ai funzionari un supporto, una consulenza, una difesa nel caso di istruttorie da parte della Corte dei conti che li rassicurasse in ordine alle responsabilità contabili.

La conclusione è che la norma è ingiustificata, non è riferita all’emergenza sanitaria perché è entrata in vigore a metà luglio, quando l’emergenza è stata dichiarata dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2021, termine che non si comprende che senso abbia se non quello di garantire una lunga impunità. Che è difficile ritenere sarà conclusa in quella data per il fatto che i procedimenti amministrativi sono complessi, in ognuno di essi spesso intervengono più atti compiuti da soggetti diversi in tempi diversi, per cui si arriverebbe all’assurdo che alcuni di questi atti sarebbero inclusi ed altri esclusi dal periodo di vigenza della norma. A meno che, come molti sospettano, da temporanea e straordinaria, divenga permanente. Ma in ogni caso noi avremmo un periodo della nostra storia amministrativa e finanziaria ricca di danni erariali in ragione dell’esclusione della responsabilità che rimarranno sul groppone dello Stato e degli enti pubblici, in realtà, dei cittadini che pagano imposte e tasse per alimentare i bilanci pubblici. Cittadini i quali si sentiranno ancor di più lontani dalla politica e dalle istituzioni. E questo è un grave danno per la democrazia. Perché, dobbiamo ricordare, agli immemori e agli ignoranti, che la “colpa grave” identifica fattispecie di gravissima noncuranza delle leggi e di trascuratezza anche delle regole del buon senso. I latini la chiamavano “culpa lata” e la equiparavano al dolo, considerato che incorre in quella responsabilità chi “non capisce ciò che tutti capiscono” (id est non intelligere quod omnes intelligunt, diceva Ulpiano).

E così Giuseppe Conte, abbandonato il ruolo di “avvocato degli italiani”, si è fatto patrono dei funzionari incapaci o disonesti salvati non in un’aula di giustizia ma in Parlamento.

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