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Frammenti di riflessioni

del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa

Secondo l’Adunanza plenaria il termine decennale previsto dall’art. 114, comma 1, c.p.a. in ogni caso può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato.

La questione rimessa all’Adunanza plenaria prende le mosse da una controversia in tema di giudizio di ottemperanza e di prescrizione, nonché di pari dignità della tutela dei diritti e degli interessi legittimi.

L’art. 114, comma 1, c.p.a. dispone che ‘l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza’.

Ad avviso della Adunanza, il menzionato art. 114, comma 1, ha introdotto la regola per la quale in ogni caso è ‘interrompibile’ il termine di prescrizione decennale, quando si agisce con l’actio iudicati: non rileva sotto tale profilo la posizione soggettiva di cui si chieda tutela al giudice dell’ottemperanza.

Nell’ottica di assicurare una tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche soggettive, la soluzione prospettata dall’Adunanza plenaria opta per una lettura unificante della tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi in sede di giudizio di ottemperanza (Cons. Stato, Ad. plen., sentenza 4 dicembre 2020, n. 24, con commento di Licia Grassucci, in www.italiappalti.it, 7 dicembre 2020).

Paese stremato

L’attuale governo è in una “situazione di sfarinamento… Quella particolare condizione politica in cui viene a trovarsi un governo che è quasi in crisi, ma non ancora, già superato dagli eventi, ma in vita. Si approva la legge di bilancio, un tempo la Finanziaria, e dopo le feste di Natale si passa al governo successivo…

La situazione politica si sfarina, tra ambizioni e inibizioni.

Non si fanno le riforme senza una cultura delle riforme, non ci sono riforme senza riformismo… Ma la cultura riformista non c’è più, si è spenta, e non ci sono in larga parte i soggetti del riformismo…

Dopo mesi di pandemia, si assiste a una separazione tra il paese reale che fatica a reggere l’urto di mesi di buio e una classe dirigente che nel suo complesso, tra maggioranza e opposizione, si sta dimostrando incapace di ascoltare quanto avviene in profondità. Le strutture sanitarie sotto assedio, certo. Ma anche le attività economiche che soffocano nell’indifferenza. E i ragazzi di fronte ai tablet da mesi, spenti nella loro socialità. E la morte in solitudine degli anziani, che si spengono nel silenzio, senza essere accompagnati per mano, senza un abbraccio.

 In questi mesi è franato il senso della socialità… Siamo tutti più soli. I territori non ce la fanno più… L’assenza di empatia quando si arriva a regolamentare in modo minuzioso la notte di Natale delle persone. Il paternalismo esibito…

Soprattutto se la stessa classe dirigente che chiede sacrifici impensabili non ha dimostrato altrettanto rigore nei confronti di se stessa e dei propri errori: la mancanza delle mascherine, poi dei tamponi e dei vaccini anti-influenzali, domani dei vaccini anti-covid del cui piano di somministrazione è quanto meno lecito dubitare, l’indecente balletto dell’apertura e chiusura delle scuole, l’assenza dei trasporti pubblici, l’odissea del cittadino comune per essere ascoltato da una azienda sanitaria anche a Roma, nel cuore dello Stato. Viene giù l’autorità dello Stato, se gli uomini e le donne che occupano provvisoriamente le istituzioni si dimostrano incapaci di guidare e di farsi carico degli sbagli…

Vale anche per la Chiesa, ridotta a funzionariato, in attesa che un Dpcm stabilisca a che ora si può festeggiare la nascita di Cristo, e magari anche se Cristo è morto di freddo. Vale anche per giornalisti e commentatori, naturalmente, che almeno però fanno il loro lavoro di opinionisti. Mentre per chi governa e fa politica la perdita di autorità e di autorevolezza riconosciuta mina il fondamento della democrazia, che è la fiducia. Una riserva non infinita. In questo momento messa a durissima prova…

Dopo, per ricostruire, non basteranno i miliardi di euro. Servirà una classe dirigente nuova, perché quelle vecchie usciranno di scena” (Marco Damilano, “Siamo tutti più soli”, L’Espresso, n. 50/2020, 10 ss.).

Uno scritto denso di meditati contenuti e allarmanti prospettive.

Scuola: solo incertezze

“Le scuole superiori riapriranno il prossimo 7 gennaio, anzi no. Probabilmente si ricomincerà a frequentarle il 18 dello stesso mese, ma  non è detto. Si parla di fine gennaio, ma bisogna vedere. A febbraio dovrebbe essere sicuro, ma se parte la terza ondata? A quel punto si scivolerà certamente a marzo o forse ad aprile, quando sarà passato un anno esatto dal ‘tutti a casa’ decretato a causa dell’emergenza sanitaria per milioni di studenti.

Da allora, l’indecisionismo politico (a tutti i livelli) spacciato come dialogo costruttivo tra Governo e Regioni e tra chi agisce (la politica) e chi conosce (la scienza), laddove il dialogo in realtà si è spesso risolto in continui conflitti e cortocircuiti, è stato il tratto ricorrente in questi mesi di pandemia, dominati alla fine più dall’incertezza che dalla paura. E ha prodotto non solo i tanti annunci rimasti tali, ma ripensamenti continui, disposizioni contraddittorie e non sempre di immediata comprensione. Un tira e molla su quel che si poteva e doveva fare e su quel che era vietato che ha contribuito non poco a deprimere il morale degli italiani…

Ora, ammesso che si possa governare a singhiozzo l’economia di un grande Paese – alternando le autorizzazioni ai divieti, i bonus per favorire la ripresa ai ristori per compensarne le perdite – di certo non si può gestire con queste modalità ballerine, per il valore sociale e simbolico che esso riveste, il mondo della scuola e dell’insegnamento, a meno che non ci si sia posti l’obiettivo di distruggerlo senza dirlo…

Ecco perché, senza nascondere nulla sui pericoli di una pandemia che ancora non si riesce a controllare, il balletto sul ritorno fisico degli studenti nelle scuole è il più dannoso e intollerabile di tutti.

…Comunque in una situazione di precarietà e incertezza defatigante per gli studenti ma anche per chiunque operi professionalmente al suo interno, è il segno d’una grande miopia e di un fallimento del quale questo governo porta e porterà per intero la colpa”  (Alessandro Campi, “L’incertezza delle scuole una rovina per i ragazzi”, Il Messaggero, 17 dicembre 2020).

In libreria

Marcello Veneziani, in occasione dei settecento anni dalla scomparsa di Dante Alighieri, dedica al grande poeta un saggio introduttivo e un’antologia di pregevoli scritti in prosa (“Dante nostro padre”, editore Vallecchi, 2020).

Uno stralcio dell’introduzione del volume è riportato sul quotidiano “La Verità” del 4 dicembre 2020.

Dante, scrive Veneziani, “è il poeta, il profeta, il fondatore, lo scrittore e il testimone originario dell’Italia nostra… In lui prende voce, anima e corpo la civiltà italiana come paradigma della civiltà universale. Dante è il ponte tra l’antichità e la posterità, ma anche tra l’umano e il divino, tra il sacro e la storia… Ma al tempo stesso è il precursore tradito, disatteso, inascoltato. Il maestro che non ebbe discepoli… Colui che ha affermato la necessità di riunire le sparse e riottose membra d’Italia e far risorgere la civiltà italiana, figlia della romanità e della cristianità… È la storia di un uomo costretto a partire, a lasciare la casa, il suolo natio, a vivere lontano dalla sua Firenze… Da lui discende l’unità culturale e spirituale del Paese”.

Un libro tutto da leggere e da meditare.

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