venerdì, Aprile 19, 2024
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Dall’Australia un richiamo al rispetto dell’identità

di Salvatore Sfrecola

I nostri governanti hanno un nuovo modello di comportamento a tutela dell’identità italiana in un momento di vivaci polemiche sul dilagare dell’immigrazione, clandestina e incontrollata, di varia provenienza considerate le crisi politiche ed economiche dei paesi dell’area del Mediterraneo fino al più recente esodo degli afgani. Lo troviamo in una dichiarazione attribuita al Primo ministro australiano, John Howard, diffusa tramite Whatsapp dall’“Unione democratica amici di Israele”, secondo la quale “gli immigrati non australiani devono adattarsi!”

“Prendere o lasciare, sono stanco che questa Nazione debba preoccuparsi di sapere se offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra cultura si è sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste portate avanti da milioni di uomini e donne che hanno ricercato la libertà”.

“La nostra lingua ufficiale – prosegue il Primo Ministro – è l’inglese, non lo spagnolo, il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, o qualsiasi altra lingua. Di conseguenza, se desiderate far parte della nostra società, imparatene la lingua!”

Ancora. “La maggior parte degli Australiani crede in Dio. Non si tratta di obbligo di cristianesimo, d’influenza della destra o di pressione politica, ma è un fatto, perché degli uomini e delle donne hanno fondato questa nazione su dei principi cristiani e questo è ufficialmente insegnato. È quindi appropriato che questo si veda sui muri delle nostre scuole. Se Dio vi offende, vi suggerisco allora di prendere in considerazione un’altra parte del mondo come vostro paese di accoglienza, perché Dio fa parte della nostra cultura. Noi accetteremo le vostre credenze senza fare domande. Tutto ciò che vi domandiamo è di accettare le nostre, e di vivere in armonia pacificamente con noi”.

“Questo è il NOSTRO PAESE; la NOSTRA TERRA e il NOSTRO STILE DI VITA. E vi offriamo la possibilità di approfittare di tutto questo. Ma se non fate altro che lamentarvi, prendervela con la nostra bandiera, il nostro impegno, le nostre credenze cristiane o il nostro stile di vita, allora vi incoraggio fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà australiana: IL DIRITTO AD ANDARVENE. Se non siete felici qui, allora PARTITE. Non vi abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto di essere qui. Allora rispettate il paese che Vi ha accettati”.

Elementare, si direbbe, questo richiamo all’identità del popolo australiano, al rispetto che assicura agli immigrati dai quali pretende altrettanto rispetto. Il tono un po’ esasperato significa che in quel lontano paese, che conserva gelosamente le proprie tradizioni e l’attaccamento alla Madre Patria ed alla Monarchia del Regno Unito, cominciano a profilarsi difficoltà di convivenza e difficoltà di integrazione.

Anche noi siano tolleranti, anche troppo, con chi taglia la testa alle statue dei santi, chiude le edicole della Madonna agli angoli delle strade, pretende che i nostri bambini non mangino nelle mense scolastiche o durante l’intervallo una fettina di carne di maiale o un panino con mortadella. Nessuno mai imporrebbe loro queste nostre usanze alimentari ma deve essere chiaro che la presenza di bambini di fede musulmana nelle nostre scuole non può condizionare l’alimentazione come la didattica. Le Crociate, ad esempio, sono per l’Occidente cristiano la risposta all’aggressione dell’Islam che in breve tempo, e violentemente, ha occupato paesi cristiani delle sponde del Mediterraneo imponendo a quelle popolazioni la conversione. E non si può non insegnare che i cavalieri crociati desideravano liberare il Santo Sepolcro.

Ugualmente la presenza di musulmani nelle nostre scuole o nei posti di lavoro non può giustificare la rinuncia ad una antica tradizione occidentale, quella di festeggiare il Natale con un presepe.

Noi siamo stati educati a rispettare ogni diversa usanza, ad entrare con rispetto nei luoghi sacri di qualunque religione, come Roma ha insegnato per secoli. Contemporaneamente desideriamo che le nostre tradizioni e le nostre usanze siano rispettate, che coloro che accogliamo percepiscano i valori dell’Occidente nei quali siamo immersi da secoli. Altrimenti non ha senso parlare di integrazione, anche se è immaginabile che per molti sarebbe comunque solo formale.

Dovrebbe essere naturale e condivisa da tutte le forze politiche la rivendicazione della nostra storia e della nostra cultura. Invece c’è chi a questi valori non tiene, si ritiene “cittadino del mondo”, espressione assolutamente priva di senso in quanto, volenti e nolenti, siano figli di una terra, di una storia, parliamo una lingua che ovunque è ammirata e coltivata per il valore della sua storia letteraria. E, in ogni caso, chi rinnega le proprie radici non è un cittadino del mondo ma un senza patria.

E noi alla nostra Patria teniamo moltissimo. Come alla nostra identità.

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