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Ancora su Corte dei conti e ponte sullo stretto. Deluso dalla lettura dei fatti suggerita da Claudio Velardi

di Salvatore Sfrecola

I lettori di questo giornale sanno che negli ultimi tempi ho richiamato più volte dichiarazioni di Claudio Velardi, direttore de Il Riformista, generalmente tratte da Tik Tok, che ho apprezzato per “equilibrio e buon senso”. Frutto certamente di lunga esperienza politica e di attenta osservazione delle vicende di Governo e Parlamento. Stavolta, tuttavia, devo dissentire da quanto ha detto a proposito della pronuncia della Corte dei conti che in sede di controllo ha negato il visto di legittimità ad una delibera del CIPESS riguardante lo stanziamento delle somme occorrenti per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Ne ho scritto e ne scrivono oggi tutti i giornali per cui sembra necessario fare alcune precisazioni per evitare che l’opinione pubblica si faccia idee sbagliate sullo stato dell’arte, indipendentemente dal merito della scelta del Governo di costruire questa infrastruttura che non è e non può essere oggetto della decisione dei giudici contabili.

Riprendo le parole di Velardi il quale ricorda che “più o meno in tutti i paesi del mondo esiste una magistratura contabile. Sono i giudici che controllano come vengono spesi i soldi e segnalano ai governi se sono stati spesi male”. Aggiunge, considerandola una anomalia che “l’Italia è il solo paese al mondo in cui la Corte dei conti ha un potere di controllo preventivo, cioè può dire prima che si faccia una spesa se bisogna farla oppure no. Un potere enorme, superiore a quello della politica”.

Qualche precisazione è necessaria per chiarezza. Il sistema dei controlli ha caratteristiche simili in tutti i paesi che aderiscono all’INTOSAI “The International Organization of Supreme Audit Institutions”, l’organizzazione delle supreme istituzioni di controllo. In un famoso congresso a Lima del 17-26 ottobre 1977 l’INTOSAI ha definito in una apposita “Dichiarazione sui principi guida del controllo delle finanze pubbliche”, tra altre regole, lo “Scopo del controllo”, quale “principio immanente all’amministrazione delle finanze pubbliche poiché la gestione dei fondi pubblici è fiduciaria. Il controllo non è fine a se stesso, bensì rappresenta una componente indispensabile di un sistema di regole che deve evidenziare tempestivamente le deviazioni dalla norma e le violazioni dei principi di legalità, di efficienza, di efficacia ed economicità dell’amministrazione finanziaria”.

Quindi la dichiarazione si sofferma specificamente sul controllo preventivo e successivo. E spiega: Il controllo “a priori” o preventivo è la verifica prima del fatto dell’attività amministrativa o finanziaria; il controllo “a posteriori” o successivo è una verifica successiva al fatto. 2. Un efficace controllo preventivo è indispensabile per una sana gestione dei fondi pubblici affidati allo Stato…. 3. Il controllo preventivo esercitato da una Istituzione superiore di controllo presenta il vantaggio di poter impedire il danno prima che questo si verifichi, ma ha lo svantaggio di creare un sovraccarico di lavoro e incertezza in merito alle responsabilità previste dal diritto pubblico”.

Evidentemente ignorando il senso e la finalità di queste regole Velardi si accoda alle esternazioni di alcuni membri del Governo sostenendo che la “casta vuole sostituire la politica arrogandosi finanche il potere di dire se un’opera pubblica va fatta oppure no. Il tutto senza passare dal voto dal consenso popolare perché il punto di fondo è questo. Volete decidere voi al posto della politica. Perfetto, allora eleggiamo i magistrati come avviene peraltro in altri paesi”.

Qui la confusione è grande. La Corte dei conti, con una decisione della quale peraltro non si conoscono le motivazioni, anche se qualcuno immagina possano essere almeno in parte simili alle osservazioni mosse al provvedimento in sede istruttoria, non dice e non potrebbe mai dirlo se l’opera è utile o meno strategica o meno, di interesse regionale o nazionale o, per esempio, militare, ma si sofferma a considerare la legittimità del provvedimento sotto il profilo delle risorse individuate per costruire l’opera, compito proprio del controllo.

Quindi nessuna anomalia, nessun giudice che vuol decidere “al posto della politica”, ma esercizio normale dell’attività di controllo “preventivo” che riguarda un atto perfetto ma non ancora efficace in assenza di una decisione positiva sulla sua legittimità.

In altri tempi (ne ho già scritto) Palazzo Chigi e Villa Patrizi (sede del ministero delle infrastrutture) avrebbero senza polemiche preparato una deliberazione del Consiglio dei ministri per chiedere alla Corte che l’atto abbia comunque corso.

Ma siamo in tempi di “riforma” della Giustizia e fa comodo alla maggioranza alzare il tono della polemica per convincere i cittadini, che di diritto ne sanno poco, che il Governo è vittima della casta dei giudici i quali, alla vigilia della seduta del Senato che oggi vota la riforma che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri, ieri sera “hanno bloccato un’opera simbolo del governo il ponte sullo stretto dicendo che mancano verbali pareri e i documenti. E allora il messaggio lanciato è chiaro non vi illudete guardate che comandiamo sempre noi e questo è solo l’inizio di una campagna elettorale lunga e durissima tra magistratura e politica che porterà al referendum sulla giustizia”.

No, caro Velardi così non è! E sono certo che “re melius perpensa”, come diciamo noi legulei da persona onesta se ne rederà conto.

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